Al Paese serve altro

Editoriali

di Stefano Vinti – Mentre la “politica politichese” continua i suoi balletti tra i palazzi del potere, con lo sfasciacarrozze Renzi che si è  intestardito a rappresentare i corposi interessi degli industriali e dei finanzieri promettendogli ampia rappresentanza nella gestione dei 209 miliardi di euro del Recovery Plan, il CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), in un suo recente rapporto, è molto allarmato ed evidenzia come il Paese sia attanagliato dal debito pubblico, dalla bassa natalità, da un basso tasso di occupazione dei giovani, da un mix di fattori che mettono a rischio il sistema produttivo e il già precario equilibrio sociale.

Per il CNEL, il lavoro vive una situazione esplosiva, la crisi conseguente alla pandemia ha colpito circa 15 milioni di lavoratrici e lavoratori tra dipendenti e autonomi.

Il mancato rinnovo dei contratti nazionali di lavoro ha riguardato oltre 10 milioni di lavoratori (77,5% del totale) e con l’imminente eliminazione del blocco dei licenziamenti la situazione può seriamente mettere a rischio quel che resta della ‘coesione sociale’. Mentre la crisi che ha già scavato ulteriori differenze tra i territori e alimentato le profonde diseguaglianze sociali, ha provocato gli impatti più gravi nei settori economici ad alta intensità di relazioni personali come il turismo, la ristorazione, alcune tipologie di commercio, le attività di cura e i servizi in genere, con relativa crisi dei livelli occupazionali.

Se a tutto questo aggiungiamo che il Paese è colpito da una questione salariale ben antecedente la crisi provocata dal Covid, risulta chiara la necessità di una iniziativa politica e sindacale forte a difesa dei lavoratori e delle loro condizioni materiali di vita.

I lavoratori italiani sono gli unici in Europa che guadagnano meno che nel 2007 (anno della crisi finanziaria mondiale). Il salario medio di 15 milioni di lavoratori dipendenti è di 30mila euro all’anno lordi: in Germania è di 42mila euro. In vent’anni il salario medio tedesco è cresciuto del 20%, in Italia di qualche misero decimale. Il 75% dei salariati italiani guadagnano meno della media. Ci sono 1,7 milioni di precari e parte time costretti a vivere con 5.641 euro lordi all’anno. Altri 2,5 milioni raggiungono la ‘bellezza’ di 9mila euro lordi l’anno.

La questione salariale significa, evidentemente, questione sociale.

Una iniziativa della politica, della sinistra che non si faccia carico della evidente ingiustizia su cui si fonda la nostra società, prima o poi, non può che portare a conseguenze serie e dolorose.

Occorrono delle risposte concrete da subito, come un grande ‘Piano del lavoro’ contro la disoccupazione e la precarietà, una legge per la riduzione dell’orario di lavoro settimanale a 32 ore, una legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro, il ripristino dell’articolo 18 esteso a tutti i lavoratori, l’introduzione del ‘salario minimo’, garantire un ‘reddito di base ‘ a tutti i cittadini, una riforma fiscale imperniata sulla progressività e su una patrimoniale per i miliardari e i milionari.

Servono riforme vere, non minestrone riscaldate su cui convergono tutti dal governo e dalla opposizione. Serve altro da quello che ci stanno propinando.