In cuor nostro sappiamo tutti quattro cose

Editoriali

di Elisabetta Piccolotti – Sappiamo cosa voleva chi ha aperto la crisi di governo: riportare la politica economica ai dogmi liberisti dei think-thank internazionali e spezzare per sempre la contaminazione tra Pd-M5S-LEU per fermarne i processi evolutivi, tra cui quella parziale chiusura della faglia sistema/anti-sistema che per un decennio ha impedito una vittoria piena al centro-sinistra.Sappiamo cosa verrà a fare Draghi, per lo più, anche se non sappiamo tutto: rassicurare gli interlocutori internazionali, mettere quelli ‘giusti’ nelle caselle ‘giuste’ del Recovery, chiudere la campagna vaccinale e poi probabilmente spostarsi al Quirinale. Sappiamo che l’appello di Mattarella non è rituale: il voto ad Aprile non è possibile. Anche se un governo ponte, diversamente disegnato, avrebbe potuto portare il paese al voto in Estate e salvaguardare la coalizione giallo-rossa. Sappiamo infine che tutte le giaculatorie che ascoltiamo dai giornalisti/opinionisti dei grandi gruppi editoriali in queste ore sul fallimento della politica sono puro fumo negli occhi, evocato per nascondere la sostanza dei poteri e degli obiettivi in gioco e per questa via ammantare di neutralità il prossimo governo. Quello che è successo è al contrario pura politica. Insiste sugli assi fondamentali della politica. Che non si rintracciano mai solo nel gioco delle dichiarazioni dei partiti, ma sopratutto nell’evolversi dei rapporti di forza nella società. L’Italia è un paese dove i grandi gruppi industriali e finanziari hanno un peso enorme e quasi trasversale, mentre le forze del lavoro e quelle della piccola impresa (nel complesso delle loro più moderne articolazioni) non hanno alcun peso, perché non hanno partiti organizzati e capaci di consenso che li rappresentino, né coscienza o consapevolezza ‘di classe’. Siamo un paese in cui una massa informe di neutri cittadini insegue onde emotive disegnate dai tecnici della comunicazione, mentre una ‘élites’ colta, organizzata e economicamente attrezzata, non solo si muove completamente a prescindere da quelle onde, non solo riesce ad esprimere obiettivi e strategie proprie, ma attraverso il controllo della maggior parte dei vettori mediatici può anche disegnare – quasi a proprio piacimento – quelle onde emotive che travolgono il resto del paese. Ora vediamo cosa fare, la situazione è delicata e difficile. Ma intanto per l’ennesima volta abbiamo la conferma che crisi sociale e crisi democratica sono la stessa cosa. Non ne usciremo senza trovare una strada nostra, peculiare, per affrontare il problema. Questa strada si chiama politica: una politica partecipata da tanti.