Il ritorno del Centro

Politica

Oscar Monaco – Se uno mette in fila le politiche fatte dal cosiddetto centro moderato nel dopoguerra, fino alla fine della “prima repubblica”, nazionalizzazioni di banche e imprese, forte intervento pubblico in economia, stato sociale, politiche salariali, ecc.. o lo scambia per estremismo di sinistra o muore direttamente di malinconia.
Quello che negli ultimi trent’anni abbiamo conosciuto come centro moderato è stata in realtà una destra estrema a trazione ultraliberista che ne ha occupato lo spazio politico, producendo disastri economici e sociali senza precedenti: un percorso pressoché lineare che va da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi.
L’operazione è stata di rara efficacia geometrica, perché ha determinato per anni il baricentro che ha influenzato tanto le politiche di centrodestra, quanto quelle di centrosinistra.

La crisi di egemonia del neoliberismo inizia da prima della pandemia, consumandosi da una parte sulle macerie sociali da esso prodotte, con l’emergere dei populismi, dall’altra su fattori oggettivi, quelli che Marx avrebbe chiamato caduta tendenziale del saggio di profitto, che erodono efficacia e credibilità delle politiche della supply-side economics, il keynesismo rovesciato di sostegno all’offerta; tuttavia la pandemia fa, come in molti altri fenomeni, da acceleratore di dinamiche già in corso. Per esempio, su scala globale, crescono vertiginosamente quelle aziende dell’economia digitale la cui estrazione di plusvalore sta tutta nell’enorme valore del capitale fisso tecnologico, aprendo di conseguenza in maniera non più rinviabile il tema dei costi energetici, come lo descriveva già qualche anno fa l’economista gesuita Gael Giraud nel suo “La transizione ecologica”, titolo non casualmente tornato alla ribalta sotto forma di Ministero.

Tornando al “centro”, il panorama che offre oggi è uno sgangherato assembramento di combattenti e reduci della stagione neoliberista, che sommati non arriverebbero al 10% se il calcolo fosse aritmetico, ma che verosimilmente non raggiungerebbero messi insieme poco più della metà se come spesso accade, la somma dovesse essere politica, ossia di aderenza ai reali bisogni sociali della piccola borghesia sull’orlo della proletarizzazione.
In questo quadro si inserisce la possibile svolta rifondativa del M5S a guida Giuseppe Conte e la sua ratio politica: le facili ironie sulla natura moderata del Movimento dopo le dichiarazioni di Di Maio, lasciano il tempo che trovano, il ragazzo ha dimostrato rare capacità adattive e ha lanciato sul filo del fuorigioco la fuga dell’avvocato. Se poi Peppino dovesse segnare è tutto da vedere, ma l’operazione è tatticamente sensata.