Draghi: fondi UE a multinazionale del fallimento

Politica

Oscar Monaco – Quando Giuseppe Conte mise in piedi la vituperata task foce di esperti e convocò gli stati generali fu subissato di critiche di ogni tipo; in realtà si trattava di una prassi consolidata della politica.
Come ci ricorda il sociologo Fausto Anderlini già a partire dagli anni 60 con i comitati per la programmazione, poi negli anni 70 con le conferenze economiche, fatte a tutti i livelli, da quello comunale a quello nazionale, che diventarono poi negli anni 80 e 90 pianificazione strategica, “questa volta con l’ausilio di più sofisticate epistemologie della governance, con la mobilitazione non solo delle forze sociali e istituzionali ma anche della partecipazione spontanea e associativa. Patti sociali, schemi direttori (specie in campo urbanistico), piani strategici. Vasti e partecipati processi istruttori destinati a condensarsi in progetti di indirizzo attorno a idee condivise. Massimamente in occasione di crisi strutturali evidenziate dalla de-industrializzazione, grandi eventi (emblematico il caso delle Olimpiadi di Barcellona diventato caso di scuola), progetti di grandi opere. Il neo-corporativismo, cioè le triangolazioni fra governo e forze sociali, è stato il sedimento della fase finale dei ‘trenta gloriosi’, anche fatto segno di critiche perché marginalizzava le istituzioni rappresentative (come i parlamenti). Sminuendo il lato politico della democrazia a vantaggio di quella sociale degli interessi. Ovunque e comunque la sinistra al governo, dagli enti locali all’Europa, passando per gli stati nazionali, ha fatto proprie queste procedure, facendone il modello di governance lungo il cammino della ‘terza via’. Fra il piano e il mercato. Fra la partecipazione democratica concorsuale e il management.”

Oggi, in un silenzio assordante interrotto solo da inutili e scroscianti applausi, il “governo dei migliori” guidato dal migliore dei migliori, Mario Draghi, affida la gestione dei fondi europei per la ripresa alla multinazionale della consulenza McKinsey

Come giustamente chiede l’economista Fabrizio Barca: in quale forma? Con quale mandato? Di chi? E soprattutto, a quali informazioni strategiche del paese hanno accesso?
Nell’attesa che “il migliore tra i migliori” si degni, bontà sua, di rispondere a queste domande, possiamo leggere queste informazioni da Wikipedia:
“Gran parte degli elementi di sfiducia nei confronti della McKinsey possono essere così riassunti:
Analisi errate o poco lungimiranti, come nel caso delle raccomandazioni fornite alla AT&T nel 1983, in cui sostenevano che i telefoni cellulari sarebbero stati un mercato di nicchia.
Mancanza di coordinamento tra diversi team che lavorano su di uno stesso cliente.
Mancanza di originalità nella proposizione di idee; tendenza al semplice riaffermare l’ovvio in un gergo economico
Lavoro in team, poiché spesso i consulenti hanno difficoltà a convergere in tempi brevi su di un insieme comune di soluzioni e raccomandazioni
Presunzione ed arroganza nei confronti dei dirigenti, in particolare il sottostimare la difficoltà di implementare le raccomandazioni
Enfasi sul “pensiero corrente” che può ridursi a poco più di spingere i clienti a seguire le più recenti teorie senza assumere un’ottica di lungo periodo
Enfasi sulla massimizzazione del valore per gli azionisti, spesso a costo di sacrificare investimenti e la strategia di lungo periodo. Ad esempio, ciò può aver portato alla crisi della società ferroviaria inglese Railtrack, ridotta al collasso dopo una serie di incidenti, imputati ai consigli della McKinsey di ridurre le spese sulle infrastrutture per destinare i risparmi di spesa agli azionisti
Timore che essa miri a diventare una presenza costosa e permanente per i clienti, piuttosto che limitarsi alla risoluzione di un definito insieme di problemi, fungendo inoltre da succedaneo di un’appropriata leadership. Questa è una preoccupazione crescente nel settore pubblico, da quando la McKinsey è sempre più coinvolta nel management di agenzie come l’inglese National Health Service.”

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