Il tramonto dell’estremo centro

Politica

Oscar Monaco – Quella che chiamiamo convenzionalmente “seconda repubblica”, l’assetto politico istituzionale seguito alla scomparsa dei grandi partiti di massa, nasce essenzialmente intorno alla voragine aperta con l’implosione della Democrazia Cristiana e l’occupazione sistematica del centro moderato da parte della media borghesia reazionaria orfana del soggetto di mediazione sociale nel cui ventre aveva albergato nei precedenti quarant’anni.

Berlusconi, interprete perfetto di un rampantismo postmoderno e post industriale, ridefinisce nei primi anni 90 quel campo moderato che con la DC guardava a sinistra, intorno ad una proposta di politica economica smaccatamente di destra: un neolibersmo, spacciato a reti unificate per un liberalismo politico presuntamente assente dalla cultura politica nazionale. Da lì inizia la stagione d’oro dell’egemonia neoliberista italiana, che tocca il suo apice nello scontro decennale dei primi anni duemila tra un centrodestra e un centrosinistra, giocato sulla miglior realizzazione delle medesime politiche improntate alla sistematica dismissione dello Stato dai principali ambiti che ne avevano caratterizzato l’azione per tutto il secondo dopoguerra.

È esattamente su quelle macerie quelle macerie che arranchiamo oggi nel tentativo di contrastare la crisi pandemica.
Ma, appunto, per trent’anni il grosso dei consensi elettorali si è concentrato attorno ad una precisa proposta politica, che nelle sue interpretazioni bipolari rappresentato ben oltre la metà di chi, sempre meno, esercitava il diritto di voto.

Oggi, messa tutta insieme, la galassia delle microformazioni dell’estremo centro, da Italia Viva ad Azione, passando per +Europa fino a ciò che rimane di Forza Italia, non arriva al 10% e altrettanto in crisi sono le varianti localiste fiorite nel decennio che ci precede intorno a liste civiche o sedicenti tali. E il fenomeno non riguarda solo l’Italia: se pensiamo alle due sponde dell’Atlantico, quella statunitense, dove un presidente centrista di razza come Biden rovescia materialmente l’orientamento delle politiche economiche degli ultimi decenni aprendo le dighe del più grande intervento di spesa pubblica mai adottato nella storia del capitalismo, e quella del Regno Unito, dove il Partito Laburista è uscito con le ossa rotte dall’ultima tornata elettorale in cui aveva tentato di recuperare fuori tempo massimo le ricette del new labour degli anni 90.

Messe alla prova del consenso le proposte di estremo centro convincono al massimo qualche minoranza di nostalgici e da ciò deriva il nervosismo che attraversa i suoi livelli nazionali e le varianti locali: un po’ ovunque, dal parlamento nazionale alle grandi città chiamate al voto per le prossime amministrative, fino ai medi e piccoli comuni anche nella nostra Umbria è un fiorire di distinguo, posizionamenti tattici e ricatti più o meno velati rivolti prevalentemente al campo del nuovo centrosinistra in gestazione e in particolare al Partito Democratico, che sconta sempre di più la mancata definizione chiara di un profilo di sinistra esplicitamente legato ad un orizzonte socialista e democratico all’altezza delle nuove sfide.