Il tramonto del postideologico

Politica

Oscar Monaco – Il progetto federativo fra Lega e Forza Italia segna l’inizio della ritirata della destra dall’area politica centrista, che fu il primo terreno di conquista della lunga ascesa della destra italiana nella prima metà degli anni 90 e contemporaneamente dà la misura della crisi di egemonia del pensiero che ha prodotto quell’ascesa, il neoliberismo.
Al contrario del centrosinistra, il centrodestra ha conservato e alimentato negli anni un profilo marcatamente ideologico, che ha fatto da collante per la costruzione e la crescita di soggetti politici sempre più forti, mettendo contemporaneamente in risalto la debolezza di progetti dichiaratamente post ideologici: basti pensare alla parabola del M5S e all’erosione subita proprio da parte della Lega dei consensi dell’elettorato proveniente da destra durante il governo giallo-verde, e sempre grazie a quel collante ideologico i gruppi dirigenti della destra stanno capendo chiaramente che l’epoca dell’inseguimento al centro è finita; Berlusconi sta lasciando ai suoi figli più o meno legittimi la contesa di percentuali che se prese singolarmente, da Renzi a Toti, non superano il 2% sommate non otterrebbero che qualche decimale in più.
La sinistra storica, quella erede del PCI, vive invece con un tale imbarazzo l’idea di dotarsi di una visione organica del mondo, retaggio della lunga esclusione dall’area di governo durante la prima repubblica, da non capire che le due grandi contraddizioni globali, le disuguaglianza sociale ed economica e la crisi ecologica, non possono essere affrontate senza una coerente critica del modo di produzione capitalistico. Lo ha capito abbastanza bene la Chiesa Cattolica, invece, al punto da aver edificato su questa premessa il pontificato di Papa Francesco.

Antonio Gramsci definiva spirito di scissione il progressivo acquisto della coscienza della propria personalità storica da parte dei soggetti politici e sociali, rispetto a quella egemone espressa dalle classi dominanti, che oggi va di moda chiamare élite: se non il compito storico, almeno il programma minimo di una sinistra moderatamente riformista sarebbe quello di ridurre le disuguaglianze e contrastare la crisi ecologica e il primo passo per farlo è liberarsi definitivamente dalle scorie di un pensiero politico che per anni ha inseguito un presunto centro ed una pratica economica che ha favorito la concentrazione della ricchezza sociale in poche mani.

Detta altrimenti, il PD deve fare i conti con un’area la cui forza in termini di rappresentanza parlamentare è inversamente proporzionale al consenso popolare, un renzismo asintomatico che ha molti più punti in comune coi soggetti di centrodestra che con la storia e soprattutto il possibile orizzonte di un nuovo centrosinistra.

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