Oscar Monaco – La crisi che coinvolge il M5S andrebbe letta alla luce delle dinamiche politiche degli ultimi 10 anni: se infatti il decennio precedente aveva visto l’Italia protagonista della ristrutturazione neoliberista in maniera più entusiastica della media europea, ma tutto sommato in linea con una tendenza generale, lo spartiacque è il 2011, l’anno in cui si insedia il governo Monti e il trasferimento di ricchezza dai salari alle rendite si combina con la ferocia delle politiche di austerità.
Lì avviene l’incubazione di quella che sarà l’esplosione del M5S, che era stato fino ad allora un fenomeno locale relativamente marginale, che si concretizza nel risultato sorprendente del 2013. Il 2013 è anche l’anno in cui accedono alla segreteria dei rispettivi partiti anche Matteo Salvini e Matteo Renzi: giunge a maturazione la versione italiana di quella che Ernesto Laclau definirà complessivamente la “fase populista”.
Se non ci fosse stata la pandemia da covid19 probabilmente staremmo parlando d’altro, ma ciò che avviene nell’ultimo anno e mezzo è determinante per accelerare in maniera potentissima alcune tendenze politiche globali già in corso da qualche anno, spinte dall’emergere sulla scena internazionale di nuovi attori globali economici e politici. Detta altrimenti si accelera il percorso di obsolescenza di una teoria economica inadeguata ad affrontare i problemi di un mondo multipolare e con essa entrano in crisi, gradualmente, i suoi epifenomeni.
Non solo, la pandemia scaraventa sul palco scenico della storia una trama che il binomio liberismo-populismo sembrava aver marginalizzato: la distinzione tra destra e sinistra, malcelata nella dicotomia prioritaria tra profitti e salute.
Questo quadro è indispensabile per comprendere la vera natura dello scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte, tra ipotesi di ristrutturazione o di rifondazione del M5S: Grillo attribuisce a Conte quelli che in realtà sono i suoi limiti, un meccanismo di difesa che in psicologia si chiama proiezione, la mancanza di visione non è di Conte, è la sua. L’ex comico pretende di condurre la sua creatura politica lungo i binari morti di una tecnica politica il cui terreno d’appoggio viene messo in discussione a livello globale. Conte propone una rifondazione del Movimento che lo collochi nell’area politica corrispondente a quella parte di elettorato, comunque rilevante, che rimane dopo l’esperienza giallo verde: un elettorato moderato di centrosinistra con tendenze ambientaliste. Da questo punto di vista la popolarità di Conte non è frutto esclusivo di un certo stile comunicativo, come sostengono i suoi detrattori, ma del fatto che interpreti i bisogni e le ambizioni di un pezzo di paese reale.
In tutto ciò, a ostacolare una normale evoluzione del quadro politico, è la figura di Draghi: se infatti un po’ in tutto il mondo il neoliberismo viene messo in soffitta, almeno nelle sue espressioni più estreme, l’Italia di Draghi si distingue per essere una sorta di laboratorio fuori dalla storia dove, ad esempio, la gestione del Recovery Fund viene affidata ad estremisti del neoliberismo, sostenitori della libera vendita di armi da fuoco, della privatizzazione delle risorse naturali e negazionisti del cambiamento climatico.