La vergognosa ritirata. Chi ci mette la faccia e chi ci ha messo il culo

Mondo Politica

Fausto Anderlini – Biden ha recitato un discorso drammatico e appassionato. Sincero. La presa d’atto di una sconfitta epocale. E la confessione di non saper cosa fare. In alcuni momenti mi ha fatto pensare ai ‘disastri della guerra’ di Goya. Mai si era sentito un Presidente Usa parlare della guerra per quel che è. Senza retorica a stelle e strisce. Il momento è analogo a quello della sconfitta del Vietnam. Ed in effetti analoga è stata la ritirata (le ritirate raramente sono ordinate, più spesso sono ‘rotte’). Allora gli Usa patirono le contraddizioni interne (questione razziale, effetti della maturità industriale, fine del ciclo lungo dell’industrializzazione, crisi fiscale, la crisi democratica succeduta .all’assassinio di Kennedy..).
Nel 1980 vidi New York in piena estate: un contrasto impressionante. Cuspidi di iper-modernità tecnologica, una città brulicante del terzo mondo, una catasta di rovine come le città Maya della giungla Yucateca. Immagine magniloquente di una crisi sociale che allora riguardava le metropoli. Assai meno l’America dell’interno. Molti scrissero allora della ‘decadenza’ americana come fine di un impero. Il reaganismo, cioè il neo-liberismo aggressivo, risollevò le sorti degli Usa portando al crollo dell’Urss e ripristinandone la funzione imperiale come potenza planetaria e gendarme del mondo. Ma la vittoria del neo-liberismo si è ritorta contro sè stessa. Da un lato ha portato a dispendiose guerre di occupazione territoriale (l’ambito più inadatto per un impero tecnologico basato sul dominio nautico ed aereo). Dall’altro ha generato, per il suo intrinseco funzionamento sfrenatamente classista, un impoverimento della compagine sociale interna. Quando a più riprese fra il 2009 e il 2014 ho visitato gli usa ho potuto notare che il panorama di rovine che negli ’80 caratterizzava New York si era trasferito in forma dilagante e impressionante nell’America rurale interna, assommandosi ai ferri vecchi degli stati della cintura industriale. L’America tecnologica, post-moderna e finanziarizzata era un gigante dai piedi d’argilla. Come dimostrò la crisi dei subprime. La rivoluzione neo-liberista, in sintesi, ha divorato sé stessa appena dopo aver vinto sul socialismo.
Biden eredita un paese sfiancato da venti anni di guerre fallimentari. socialmente stanco e in preda a gravi convulsioni sociali. Il capitale fisso logorato dall’incuria, il succedersi di catastrofi ambientali vieppiù virulente (rilevanti nel destino di un paese: ricordiamo l’impatto sull’Urss del terremoto armeno, in aggiunta a Chefrnobil..), il riemergere della questione razziale. Una democrazia a pezzi, considerando che solo alcuni mesi orsono una folla di straccioni dell’America interna della quale Trump si era fatto rappresentante ha dato l’assalto al Campidoglio (un evento unico, che neanche la Bielorussia e l’Ucraina..). Apparati di stato (Cia vs. Fbi) in preda a una guerra civile. La stessa pandemia ha messo in risalto la fragilità della società americana e del suo sistema di prevenzione sanitaria. Acuendo le diseguaglianze. Ma soprattutto l’arretramento economico. Nel 2000 il primo partner commerciale mondiale erano gli Usa. Vent’anni dopo la funzione è transitata alla Cina. Le guerre territoriali si sono risulte in altrettanti buchi neri (Iraq, Siria e medio oriente, Afghanistan, Libia..). Invece che esportare democrazia e diritti hanno generato il caos. Come corrispettivo è cresciuto il ruolo regionale di potenze nemiche come Russia, Iran e un alleato infido come la Turchia. Una catastrofe.
Prendersela con Biden accusandolo di imperizia come fanno gli euro-atlantici abbarbicati ai ‘fasti’ del neo-liberismo è una aberrante idiozia. La potenza americana è di nuovo al collasso e non ha un piano per uscire dalla buca profonda nella quale è precipitata. Ringrazino che il povero Biden ha messo la faccia dove loro hanno messo il culo.

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