Per aumentare i salari occorre rimettere in moto il conflitto

Economia

Simone Fana* – Da trent’anni va di moda in Italia che se riduci il costo del lavoro aumentano i salari.
Da Prodi a Renzi, fino a Draghi.
La ricetta è la stessa, visto che il conflitto distributivo (salari versus profitti) deve essere cancellato dalla storia di questo paese, perché portatore di infausti problemi macroeconomici dall’inflazione alla perdita di competitività del sistema delle imprese, alla disoccupazione in una narrazione falsata degli anni 60/70, si dice l’unico modo per aumentare i salari è abbassare le tasse.
Ora questa ricetta economica, ma sostanzialmente politica, ha prodotto in Italia il risultato che nel 2020 il salario medio di un lavoratore è inferiore a quello del 1990.È un unicum in Europa. La ragione è molto semplice: la riduzione del cuneo fiscale finanziata dalla fiscalità generale (quindi in massima parte dai lavoratori dipendenti e dai pensionati) è un meccanismo che disincentiva qualsiasi impresa ad investire, perché il prezzo relativo del lavoro rimane sempre lo stesso, dunque non c’è alcuna ragione per incrementare gli investimenti.
Inoltre, ridurre il cuneo fiscale significa ridurre la quota contributiva che serve per finanziare le pensioni. E non a caso di pari passo alla riduzione del cuneo fiscale si vuole aumentare l’età pensionabile.
Tempo di lavoro e salario sono due facce della stessa medaglia, si aumenta il primo per poter tenere basso il secondo. In un paese che conta un tasso di disoccupazione giovanile secondo solo a Grecia e Spagna, si scaricano i costi della riproduzione della forza lavoro dallo Stato alle famiglie, dalla società agli individui, tenendo a lavoro i padri mentre i figli si sbattono tra un lavoretto e uno stage gratuito.
È esattamente la linea di continuità che ha guidato la politica di questo paese. È esattamente il sistema che ha spaccato (perché riguarda sempre una fascia di lavoratori) e impoverito il mondo del lavoro.
Solo un aumento della quota salari sul reddito, quindi solo rimettendo in piedi una dinamica conflittuale si possono aumentare i salari e alimentare la dinamica della produttività. Si chiama conflitto distributivo, cioè la base della dialettica democratica, che infatti è scomparsa.

*Simone Fana si occupa di servizi per il lavoro e per la formazione professionale. Autore di Tempo Rubato (Imprimatur) e con Marta Fana di Basta Salari da Fame (Laterza). Scrive di mercato del lavoro e relazioni industriali.

fonte: Facebook

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