D’Alema: i crimini di Putin e il dovere di parlare ai Russi

Politica

Intervista a La Stampa

di Fabio Martini

Massimo D’Alema, nella storia della Repubblica primo e unico presidente del Consiglio erede della tradizione del Pci, non ricorre a perifrasi nel giudicare Vladimir Putin, dice che «questa aggressione militare, non soltanto è un crimine, è anche un errore», ma non usa chiaroscuri neppure nell’indicare ai governanti europei e dunque anche l’Italia, la strada per uscirne: «Ora deve essere esercitata ogni pressione per fermare la guerra e indurre la Russia a ritirare le sue truppe di occupazione. Ma, in prospettiva, se si vuole costruire una soluzione stabile e sostenibile, non si può non tener conto, malgrado Putin, che ci sono anche le ragioni della Russia».

La mattina del 24 quando è scattato l’attacco russo, sinceramente lei è rimasto sorpreso?

«Non sono rimasto sorpreso quando i Russi sono entrati nelle due provincie di Lugansk e Donezk perché lì, in qualche modo, erano “attesi”. Ma devo dire la verità: quando hanno scatenato l’attacco generale non avrei pensato che lo avrebbero fatto. Dunque, avevano ragione gli americani: cosa che non succede sempre. Ma parliamoci chiaro: avendo previsto tutto questo, forse l’Occidente, oltre a preannunciare l’attacco, poteva fare qualcosa per aiutare l’Ucraina a mettersi in grado di difendersi meglio»

Molto concretamente cosa avrebbe potuto o dovuto fare?

«La politica dell’Occidente verso la Russia è stata una politica sbagliata che ha favorito Putin».

Perché? 

«Perché ha favorito il nazionalismo di Putin. Noi non abbiamo fatto nulla per inserire la Russia in un contesto di post-guerra fredda. Soprattutto gli americani hanno continuato a guardare alla Russia con i sentimenti di quell’epoca. E questo è stato un errore storico. Iniziato già nell’epoca di Gorbaciov. Nel momento in cui la Russia aveva bisogno di un Piano Marshall nessuno gli dette un euro. Questo aiuto fu negato. E Gorbaciov era altra cosa, era il contrario di Putin. Rappresentava una Russia che si apriva al dialogo con i valori democratici della sinistra europea. Poi iniziò un drammatico declino: negli anni Novanta la disgregazione, la miseria, la crescita della criminalità economica, l’abbassamento dell’aspettativa di vita. La Russia ha conosciuto una crisi drammatica fino a Putin, che è la risposta a tutto questo. Lui riscopre un nazionalismo assertivo, un sistema autoritario. E la Russia vede in Putin l’uomo che le restituisce il ruolo di una grande potenza».

In questi giorni non c’è il rischio di un atteggiamento del tipo: «Sì Putin sbaglia, ma tutti gli altri pure…»

«Vorrei essere chiaro. Quel che ho appena descritto non giustifica nulla di quel che sta accadendo. Ma ci aiuta a capire quel che è successo e anche quello che potrà accadere. Noi possiamo vincere questo braccio di ferro con la Russia, se oltre alla necessaria fermezza non c’è anche una visione politica sostenibile, sostenibile anche per la Russia. Di Putin non mi sento amico né sodale. Però noi dobbiamo parlare al popolo russo e gli dobbiamo prospettare una soluzione che sia sostenibile anche per loro. Una soluzione che tenga conto delle ragioni della Russia».

In queste ore le “ragioni” russe faticano ad emergere: a suo parere quali sono?

«Sono due e molto chiare. La prima: in tutti questi Paesi ex sovietici ci sono delle minoranze russe, anche molto consistenti e noi non ci siamo occupati quasi per nulla della tutela dei diritti di queste minoranze. In tutti i grandi processi di disgregazione degli imperi questi sono problemi che sono rimasti e spesso sono stati all’origine di nuovi conflitti. Penso ai tedeschi nei Sudeti».

La soluzione trovata da De Gasperi per l’Alto Adige a suo modo è un esempio? 

«Noi abbiamo l’esempio della saggezza con cui la classe dirigente italiana ha affrontato quel problema, dando stabilità al nostro Paese, riconoscendo anche dei diritti, a cominciare dall’uso della lingua. L’accordo De Gasperi-Gruber fu fatto con il governo austriaco a cui l’Italia riconobbe il diritto di occuparsi dei cittadini di lingua tedesca, che vivevano nei confini del nostro paese cioè certo fu un’operazione di grandissima intelligenza infatti ha pacificato il nostro Paese».

E’ stata lasciata briglia troppo sciolta al nazionalismo ucraino?

«Il nazionalismo ucraino, che è stato responsabile di prevaricazioni nei confronti della minoranza russa, doveva essere scoraggiato non incoraggiato da una parte del mondo occidentale. Il nazionalismo ucraino ha rinnegato gli accordi di Minsk che prevedevano una riforma costituzionale dell’Ucraina che consentisse l’autonomia delle regioni».

Un altro errore che si sarebbe potuto evitare nei confronti della Russia?

«Il tema della sicurezza della Russia non è stato mai affrontato in modo serio. C’erano e ci sono due possibilità. I russi non hanno mai escluso di una loro inclusione in una NATO che cambi natura. Altrimenti occorre realizzare una struttura comune della sicurezza europea, un accordo che i russi a un certo punto hanno chiesto ed è stato negato. Una nuova Conferenza di Helsinki. Un’architettura della sicurezza in Europa in grado di garantire noi e garantire loro. Rinunciando all’idea che la garanzia è data dal fatto che noi circondiamo la Russia perché questo ha avuto come effetto quello di alimentare quel vittimismo e quel rigurgito nazionalista di cui Putin si è avvantaggiato, diventando il beneficiario di questi errori politici».

Sul lungo periodo c’è un rischio che accomuna Russia ed Europa?

«Questa aggressione militare della Russia è un crimine perché siamo difronte ad un’aggressione a vittime civili, ma anche è un errore perché Putin, descritto da alcuni analisti come spietato e lucido calcolatore, secondo me stavolta ha sottovalutato i rischi connessi ad un’operazione che può avere per la Russia dei costi molto alti. E anche noi dobbiamo saperlo: le sanzioni non bastano. Il rischio è quello di un comune declino dell’Europa e della Russia. Siamo legati per ragioni geografiche, di complementarietà economica: loro hanno bisogno della nostra tecnologia e noi delle loro materie prime. Parliamoci chiaro: dal punto di vista geopolitico questa frattura nel cuore dell’Europa accentua il rischio di declino complessivo del continente. Stati Uniti e Cina possono guardare con maggiore distacco, anche perché pagano un prezzo meno alto. Questa è una tragedia europea e sta agli europei trovare una via d’uscita».