Da Fincantieri a Leonardo: l’illogica imprenditoria che alimenta la guerra

Economia

di Simone Siliani (tratto da Strisciarossa) – La guerra è il regno dell’illogico umano. Essa si nutre di contraddizioni e di assurdi logici, in contrasto con il pensiero umanitario entrato da quasi un secolo anche nel diritto internazionale, oltre che da un paio di millenni nella concezione del mondo di un numero crescente di autorità morali a cui tutti – almeno in Occidente – guardiamo con ammirazione come Maestri. L’adagio latino “Si vis pacem, para bellum”, che per secoli ha regolato le relazioni fra popoli e potenze, appare formalmente come un residuato di epoche lontane. Eppure anche le guerre di oggi, in Ucraina come negli altri trenta luoghi del mondo dove si combatte apertamente un conflitto, ci consegnano una logica opposta, quella dell’economia e di potenza che, per l’appunto, è disumana, contraria alla logica umanitaria: con la pretesa di costruire la pace e la giustizia, si prepara attivamente la guerra. Anzi, le guerre. Cos’altro è, se non questo, la decisione di aumentare le spese militari fino al 2% del PIL? Decisione di un Parlamento quasi unanimemente conquistato dall’illogica idea che costruire e spargere ai quattro angoli della terra un numero maggiore di armi sempre più efficienti (dove per efficienza si deve leggere “maggiore precisione e forza distruttiva di infrastrutture e, fatalmente, di esseri umani”) sia l’unico modo per garantire pace e giustizia.

Preparare la guerra conduce sempre alla guerra

Questo assurdo logico è, peraltro, smentito dalla dura lezione della storia, antica e prossima, che si è incaricata di dimostrarci che preparare la guerra conduce, linearmente e semplicemente, alla guerra. Così, costruire e commerciare nuove armi prepara il terreno per il loro uso in conflitti, nuovi e vecchi. Oggi, ad esempio, si viene informati che l’armamentario bellico italiano di terra – carri armati e obici – è vetusto e in non buone condizioni. Però questo abbiamo e, pazienza, alla resistenza ucraina dovremo mandare questo materiale. Ma sarà l’occasione per ammodernare, con nuovi e più efficienti, sistemi d’arma il nostro esercito. Fatto che dimostra alcune cose. In primo luogo che, come ogni macchina, anche quelle militari devono essere provate sul campo per essere mantenute in buono stato: cosa di meglio per farlo che una sana guerra guerreggiata? In secondo luogo, che questa terribile guerra in Ucraina è l’occasione per un regalo dello Stato alle maggiori industrie produttrici di armamenti, in molteplici sensi: esentando dal pagamento dell’IVA le industrie di questo segmento, garantendo un mercato protetto interno per queste imprese (le maggiori delle quali partecipate significativamente dallo Stato, come Leonardo SpA e Fincantieri), favorendo uno sviluppo del mercato internazionale, ancora una volta garantito dallo Stato che autorizza il commercio verso paesi terzi attraverso il Ministero degli Esteri e al contempo, con la leva del Ministero della Difesa, permette di sviluppare nuovi e più efficaci prodotti da piazzare anche sul mercato internazionale, per poi prendersi la parte più consistente dei dividendi in quanto azionista di riferimento attraverso il Ministero dell’Economia e della Finanza.

Commercio delle armi: bilancio record per l’Italia

È appena uscita la relazione che il Governo è tenuto a presentare al Parlamento ai sensi della L.185/90 sul commercio delle armi. L’Italia ha esportato complessivamente nel 2021 armi per 4,661 miliardi di euro, in leggero aumento rispetto al 2020. Fra esportazioni ed importazioni extra UE, il giro d’affari arriva a 5,340 miliardi, in aumento del 10,75% rispetto all’anno 2020. Esportiamo i nostri gioielli bellici verso 92 paesi paesi del globo, con un numero di autorizzazioni di 2.189. Il nostro miglior cliente è il Qatar che da 212,2 milioni di euro balza a 813,5 di transazioni. Il Qatar, fino al 2017 (quando, per inciso, fu destinatario di ben 4,22 miliardi di euro in armi italiane), è stato nella coalizione guidata dall’Arabia Saudita nella guerra nello Yemen, definito dall’ONU il più grande disastro umanitario contemporaneo. Arabia Saudita che continua ad essere un buon cliente italiano: nel 2021 ha ricevuto 47,2 milioni di euro in armi italiche. Si noti che la L.185/90 proibirebbe la vendita di armi a paesi belligeranti. Ma nella classifica troviamo altri clienti problematici. Il Pakistan (203,7 milioni) impegnato nella guerra a bassa intensità nel Kashmir contro l’India (che da parte sua si prende 60,1 milioni di euro in armi italiane). L’Egitto che dai 992,2 milioni di euro del 2020 (quando fu campione di acquisti) scende ad appena 35 milioni: ricordatelo quando il nostro governo si straccerà le vesti per i diritti umani negati dal regime di Al-Sisi! La Nigeria, campione africano con 21,6 milioni di euro, paese impegnato su più fronti interni: a nord-est nel Borno contro gli islamisti, nel centro con le tensioni fra gli allevatori e le comunità agricole, nel delta del Niger dove si combatte per il controllo del petrolio e nel Biafra per reprimere le rivendicazioni di indipendenza. Ma anche in Europa con Cipro, cui abbiamo venduto 30,3 milioni di euro di armi italiane dimenticando, forse, che sarebbero i Caschi Blu dell’ONU a dover garantire la pace con la Repubblica Turca di Cipro Nord (il presidente turco Erdogan – sì, lui, quello che Draghi definiva un “dittatore” – ha dichiarato che “non esiste una nazione chiamata Cipro” e che, comunque, si prende 41,5 milioni di euro di armi italiane).

Investire in diritti umani e ambiente

Ecco, per dire, come con l’aumento delle spese militari e del loro commercio l’Italia dichiara di volere la pace preparando le future guerre. Noi, con il Papa e con nessun altro leader mondiale, pensiamo che sia difficile perseguire fini di pace, con mezzi di guerra. La “logica” che presiede a questa illogicità umanitaria è quella fredda dell’economia. La finanza non è neutra: puoi decidere, se sei una banca, di finanziare imprese impegnate a costruire e vendere armi, oppure a sostenere imprese sociali o della transizione ecologica. Se sei una società di gestione del risparmio puoi decidere di avere nel tuo portafogli titoli, azioni di imprese quotate o titoli di Stato di Paesi impegnati per la guerra o invece per tutelare i diritti umani e l’ambiente. Se sei un parlamentare puoi votare per l’aumento delle spese militari (possibilmente senza l’ipocrisia di dichiararti per la pace e la giustizia) oppure no. In nessuno di questi casi puoi però sfuggire alla responsabilità delle tue azioni. Anche se sei un cittadino “qualunque” puoi fare qualcosa: puoi impiegare i tuoi risparmi in un tipo di banca o nell’altra, in fondi etici oppure “cinici”, votare un parlamentare oppure un altro. Dichiarare, senza timore anche se ti diranno che sei un illuso o un’anima bella, che se davvero si vuole la pace, bisogna preparare la pace. Noi di Fondazione Finanza Etica, che facciamo azionariato critico, lo chiederemo nelle Assemblee degli Azionisti di Leonardo SpA e della tedesca Rheinmetall: perché staccare dividendi milionari producendo armi per le guerre e non spostarsi sempre più verso il civile, impiegando quella straordinaria capacità tecnologica e produttiva per finalità civili? Neppure gli amministratori e gli azionisti (Stato italiano compreso) di queste aziende potranno sfuggire alle loro responsabilità.

L’autore è direttore di Fondazione Finanza Etica Firenze

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