Berlinguer e la questione immorale

Editoriali

di Guido Liguori – No, quello di Berlinguer non era facile moralismo. Era la denuncia di un modo largamente diffuso di fare politica, proprio di quasi tutta la tradizione liberal-parlamentare, e che storicamente ha a volte contaminato anche le forze della sinistra. Il grido di Berlinguer non era solo contro il sottogoverno dc o l’arraffa-arraffa del Psi craxiano. Era anche contro i pericoli che, sia pure in modi molto (ma molto) più contenuti, vedeva affacciarsi nel suo stesso partito, a livello periferico (ma in “periferie” di un certo peso). È una lotta perenne, mai vinta definitivamente, quella contro la corruzione e “il legno storto dell’umanità”. Ma Berlinguer diceva che essa si vinceva nel momento in cui si poneva e si pone al centro della politica la lotta per i propri ideali, per l’emancipazione di classe. Senza di che restava e resta soprattutto il tornaconto personale. Hanno poi distrutto il Pci di Berlinguer, soprattutto hanno nel tempo negato che un partito di sinistra dovesse rappresentare interessi e ideali di classe, sostituiti al tempo con quelli più effimeri della teoria liberale dei diritti, della cittadinanza, su cui una lunga riflessione andrebbe fatta (“Non credere di avere dei diritti” era il bellissimo titolo di una pubblicazione femminista di fine anni 80). Insomma, invocare oggi Berlinguer da parte di coloro che ne hanno distrutto il partito, l’eredità, la tradizione di sacrifici e lotte per “modernizzare” la politica, ha poco senso.