Assange non verrà estradato negli USA, ma resta in carcere

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L’altro ieri la corte britannica ha negato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti per le gravi condizioni psico-fisiche in cui è stato ridotto.

Le sue condizioni di salute si sono infatti enormemente aggravate in questi lunghi mesi passati nel famigerato carcere britannico di Belmarch, e la corte ha motivato quindi la sentenza con il rischio che Assange correrebbe se finisse in un carcere di massima sicurezza negli Usa.

Nella sostanza il rischio ravvisato dalla corte è che Assange rischierebbe il suicidio nelle carceri americane.

La decisione della corte ha tuttavia negato gli argomenti della difesa, la quale sosteneva che il suo assistito non avrebbe visto garantirsi il diritto ad un processo equo negli Stati Uniti, come lo stesso Assange aveva ampiamente spiegato:

“Non è possibile avere un processo equo perché tutti i processi si svolgono ad Alexandria, in Virginia, dove il pool di giuria è compromesso dalla più alta densità di dipendenti militari e governativi di ​​tutti gli Stati Uniti. Non è possibile avere un processo equo, perché il governo degli Stati Uniti ha un precedente nell’applicare il privilegio del segreto di stato per impedire alla difesa di utilizzare materiale classificato a suo favore. Non è possibile avere un processo equo, perché come imputato in un caso di sicurezza nazionale, sei trattenuto da misure amministrative speciali, il che rende molto difficile esaminare qualsiasi elemento del tuo caso, incontrare i tuoi avvocati, parlare alle persone, ecc. Quindi, questo semplicemente non è un sistema equo.”

Oggi è stata invece respinta la richiesta di libertà provvisoria su cauzione avanzata dai suoi legali, sulla base del fatto che secondo l’accusa Assange avrebbe le “risorse” per fuggire, anche alla luce della disponibilità di asilo politico avanzata dal Messico.

Cosa succederà ora?

Gli Stati Uniti hanno già annunciato che si appelleranno contro la decisione di non estradizione, mentre il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha annunciato l’intenzione del suo governo di offrire asilo politico al giornalista fondatore di Wikileaks e ha definito la decisione della corte “un trionfo della giustizia.”

Il presidente chiederà al Ministro degli Esteri Marcelo Ebrard di procedere nei confronti del Regno Unito con la richiesta di liberare Assange. Ha inoltre ricordato che “il diritto di asilo fa parte della nostra tradizione” e ha aggiunto che Assange merita l’indulto.

In Australia, diversi parlamentari hanno chiesto al governo di fare pressione sull’amministrazione Trump perché “metta fine a questa saga” concedendo la grazia presidenziale ad Assange, che, ricordiamo, è cittadino australiano. Tuttavia, il premier australiano ha già dichiarato che non chiederà la grazia a Trump.

Molto difficilmente le autorità britanniche accoglieranno l’offerta messicana, mentre l’esito del ricorso presentato dagli Stati uniti sarà tutt’altro che scontato, anche alla luce della natura della sentenza che ha al momento negato l’estradizione.

Quella di lunedì rappresenta senza dubbio una vittoria parziale per Assange e per la libertà di informare, ma la vera soluzione è che l’imminente amministrazione Biden riduca le accuse.

La speranza è che Biden si allinei ad Obama sulla questione. Tuttavia, dieci anni fa, Biden aveva insinuato che Assange avesse commesso un crimine.