D’Attorre: la sinistra può arrivare al 30%. Come se ci fosse il proporzionale

Sinistra

Pubblicato Su Huffington Post

di Alfredo D’Attorre

Era prevedibile che lo stress test del Quirinale scuotesse dalle fondamenta il fragile sistema politico italiano, producendo incrinature profonde nei partiti e negli schieramenti. Se questo dato è assolutamente evidente nel centrodestra, anche nel cosiddetto “campo progressista” alcuni interrogativi si sono rafforzati, specie rispetto alla tenuta del M5S nell’ultimo anno di legislatura.

Molti (quorum ego) pensano che la soluzione più razionale per superare questa impasse del sistema politico e affrontare la sua necessaria riorganizzazione sia una riforma elettorale in chiave proporzionale. Ma, nella situazione data, per fare la legge elettorale senza mandare gambe all’aria il governo, bisognerebbe convincere Salvini, o che lui si convincesse da solo. È vero che molte motivazioni razionali potrebbero spingere Salvini a compiere questo passo, ma, se c’è una cosa che la vicenda del Quirinale ci ha insegnato, è che attualmente scommettere sulle motivazioni razionali delle scelte di Salvini non è necessariamente un atto razionale. L’attuale presidente del Consiglio ne sa qualcosa.

Non è affatto detto perciò che negli ultimi mesi della legislatura si riesca a superare il pessimo Rosatellum. È evidente che ciò pone adesso un problema di strategia anzitutto alla forza che, tra quelle maggiori, è uscita meglio sia dalle elezioni amministrative dello scorso autunno, sia dall’elezione del presidente della Repubblica. Come può evitare il Pd un anno di logoramento, in cui il sistema elettorale vigente spinge a lavorare sulla costruzione di “campo largo” che – dai centristi al M5S – rischia di presentare molte più spine che rose?

Un soggetto che non si accontentasse di navigare attorno al 20% di consensi ormai consolidati, ma si ponesse l’obiettivo di recuperare i consensi persi nel mondo del lavoro e della produzione per tornare a puntare l’obiettivo del 30%, potrebbe poi impostare in termini ben diversi anche il tema degli apparentamenti elettorali. È chiaro che, se rimarrà in vigore il Rosatellum, bisognerà mettersi d’accordo nella quota di collegi uninominali con il M5S e una parte almeno dei centristi (sarà necessario soprattutto per loro…). Ma un conto è farlo essendo diventati il centro di gravità del sistema politico, capace di affermare la propria agenda e la propria visione del Paese, altro è arrivarci affidando la propria identità al faticoso assemblaggio di liste elettorali litigiose e in affanno.

E a quel punto anche la candidatura della leadership del nuovo Pd alla guida del governo apparirebbe molto più credibile, forte di un progetto e di un consenso autonomo, anziché affidata all’equilibrio inevitabilmente precario di una coalizione composta sia da chi non ha altra chance che aggrapparsi a Draghi per l’eternità (anche a rischio di essere platealmente smentito dal diretto interessato), sia da chi magari come il M5S immagina di uscire dalle proprie difficoltà muovendosi nell’ultimo anno di legislatura più da forza di opposizione che di governo.

Insomma, se vogliamo evitare che la permanenza del Rosatellum riduca le elezioni alla mera contrapposizione fra due coalizioni poco credibili e aumenti ancora l’area dell’astensionismo, occorre che almeno la sinistra di governo faccia come se il proporzionale ci fosse già.