Stumpo: il Jobs act ha portato precarietà e crisi a sinistra

Politica

Intervista a L’Argomento quotidiano

di Francesco De Palo

La sinistra deve ripensare se stessa, dice a L’Argomento il parlamentare di Articolo Uno Nico Stumpo, perché il jobs act è stato pietra miliare della precarietà e fonte di crisi del rapporto con le fasce più deboli. L’esponente bersaniano, che boccia la proposta di Giorgio Gori per Draghi oltre il 2023 (“si fa un danno al premier”), apre al campo largo a cui lavora Enrico Letta, individuandone i compagni di viaggio (Verdi, Sinistra Italiana e moderati) con una direttrice di marcia: bisognerà avere la forza di chiudere con il passato.

Tra Pd e M5s è ancora campo largo?

Noi continuiamo a pensare che abbiamo investito non poco su questo progetto, in una prospettiva diretta verso la positiva evoluzione dei Cinque Stelle che fin qui, a nostro modo di vedere, c’è stata. Il governo giallorosso prima, in seguito le alleanze alle amministrative e il filo comune che si sta tenendo sia nell’attuale maggioranza che nel passaggio per il Qurinale, lo dimostrano. E configurano quel campo di azione che a me piace chiamare campo progressista.

Con quale meta?

Deve provare ad avere il coraggio, ancora di più rispetto ad oggi, di mettere in campo una proposta-Paese che sia propositiva e convincente. Ecco il punto di partenza, un campo largo che tenga dentro anche altre soggettività che al momento non sono al governo, come Verdi o Sinistra Italiana con i quali Enrico Letta dialoga. Ma non escludo anche altre forze geometricamente dette centriste, che dentro una coalizione hanno la necessità di trovare un luogo di costruzione comune. In tale contesto di alleanze bisognerà avere la forza di chiudere con il passato e avere il tempo di mettere assieme queste esperienze.

Quale il rischio da evitare?

Che sia una risultante non matura di varie esperienze. Deve invece diventare un punto di equilibrio per governare il Paese. Naturalmente è ancora tutto da costruire: i tempi non sono lunghi ma la possibilità di farlo prima delle elezioni c’è. Tutto dipenderà dal nuovo sistema elettorale.

Una legge elettorale ultra proporzionale potrebbe favorire questo schema?

Gli schemi sono semplicemente una formula che trasforma i voti in seggi. In realtà hanno anche dietro un’architettura che mette assieme le coalizioni, oppure fa andare i partiti da soli e li incrocia successivamente in Parlamento. Un sistema proporzionale apre alla contendibilità partito contro partito e non coalizione contro coalizione. Per cui ci si presenterebbe come forza singola e solo dopo, in Parlamento, costruire le alleanze: ciò non vieta che alcune forze si presentino all’elettorato annunciando già di voler governare in una formazione unitaria. Mi auguro che il campo largo progressista, a prescindere dalle legge elettorale, possa fare questo passo in più. Mi piacerebbe che fosse così e abbiamo scommesso che si sedessero allo stesso tavolo forze che per anni non hanno discusso in questi termini.

Coalizione riformista per avere Draghi oltre il 2023 chiede Giorgio Gori: ha ragione?

Queste parole fanno un danno all’attuale premier. Non può essere incanalato in una coalizione anche perché non so se vorrà essere il premier di una parte: se fosse stato così probabilmente non avrebbe chiesto, così come accaduto nella crisi del Conte 2, una larga convergenza e non una semplice convergenza sul suo nome. Quando si butta il cuore oltre l’ostacolo, bisognerebbe innanzitutto chiedere a quelle persone se sono disponibili. Detto questo, vorrei misurarmi con lo scenario in cui i vari leader di partito concorrono mettendo a disposizione se stessi per la leadership. E chi ha avuto più riscontro elettorale, può essere il leader di quella coalizione e anche il premier.

Non dovesse succedere?

In caso di una nuova condizione di ingovernabilità, allora cambierebbe lo scenario. A meno che il premier Draghi non faccia una scelta di campo e stia da una parte, da un’altra o dall’altra ancora. Ma questo non spetta né a me né ad altri chiederlo o dirlo. Sarà Draghi a dire cosa vorrà fare.

Nell’immaginario collettivo è passata la tesi che le buone performances elettorali dei sovranisti siano dettate anche dal fatto che la destra si è fatta sociale e ha rubato alla sinistra i voti dei ceti più in difficoltà. Come pensate di recuperare?

Credo sia un’analisi sbrigativa nel senso che, andando a ritroso nel tempo, nelle periferie urbane e nei piccoli centri, la destra ha avuto un consenso già in anni passati, tanto che c’è stata molta discussione sul fatto che la Lega negli anni Novanta era già il partito degli operai o della Fiom. C’è quindi qualcosa di più profondo.

Ovvero?

In questi anni i grillini sono riusciti a recuperare quel rapporto, come dimostrano le ultime due elezioni del 2013 e del 2018. Fuori dalle politiche, però, quell’elettorato è stato fermo e alle amministrative si è visto. Credo che il compito dell’alleanza progressista non sia solo quello di predicare i diritti dei più deboli, ma di fare proposte concrete che diano più diritti e che siano direttamente esigibili.

Primo banco di prova il mondo del lavoro…

Il tema della precarizzazione del lavoro è prioritario, ma con il job’s act ha avuto l’ultima sublimazione del suo percorso. Ricordo il dibattito che si animò tra diritti e opportunità, per togliere ai padri e dare ai figli. Favole che erano state raccontate: si trattava di togliere diritti acquisiti e immettere precarizzazione che la sinistra imperante di quegli anni chiamava flessibilità.

Da dove ripartire allora?

Ripensare un modello di società in cui i diritti tornino ad essere esigibili per 12 mesi l’anno e per tutta la vita lavorativa, non dopo una certa fase o a condizione che. Questi diritti sono normali in società avanzate, per cui servirebbe più coraggio per aprire una discussione un tal senso: qualche anno fa, con la famosa terza via, si erano individuati i luoghi per dare più diritti ma si erano sbagliate le ricette che, oggi, ci hanno portato alla precarietà. Credo che la sinistra debba avere il coraggio di ripensare se stessa, guardando ai bisogni delle nuove generazioni e capire perché tanti ragazzi che ormai non sono più ragazzi, vedono se stessi in una condizione di maggiore difficoltà rispetto ai propri genitori che però avevano più diritti e salari maggiori. Basti pensare che mentre ieri il problema del livello salariale lo avevano solo gli operai, oggi ce l’hanno anche i laureati. I diritti sociali hanno una pregnanza: in questo bisognerebbe capire come lanciare nuove proposte per uscire da questa drammatica crisi. Per una volta da una crisi si dovrebbe uscire con più diritti e non con più rinunce.

@L_Argomento