Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata

Cultura

Autore originale del testo: Dino Messina, Nerio Naldi

MAURO CANALI – IL TRADIMENTO. GRAMSCI, TOGLIATTI E LA VERITA’ NEGATA – ed. MARSILIO

Questo libro ha suscitato molte reazioni, commenti, recensioni, spesso di segno opposto. Non potendo riportarli tutti, ne abbiamo scelto due per dare ai nostri lettori un’idea del dibattito in corso.

da il Corriere della Sera,  recensione di Dino Messina

Che cosa rende unica, nella storia del comunismo, la vicenda umana, politica e intellettuale di Antonio Gramsci? L’aver costruito un sistema di pensiero considerato ancora oggi vitale per l’interpretazione della cultura e della politica italiana e occidentale. Un’impresa ancor più importante se si tiene conto che il grande pensatore la realizzò nella solitudine del carcere fascista, tra l’incomprensione e l’ostilità del mondo comunista che avrebbe dovuto essergli amico. È questo il giudizio che si ricava dalla lettura del nuovo saggio dello storico Mauro Canali, Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata, appena edito da Marsilio (pagine 257, e 19,50). Canali, studioso noto per la sua dimestichezza con gli archivi, di cui ha dato prova per esempio nelle opere Il delitto Matteotti e Le spie del regime (edite entrambe dal Mulino), mette tutta la sua sapienza documentaria e passione per svelare definitivamente le falsificazioni di cui è stato oggetto il pensatore sardo. Un «santino», nella mitografia costruita da Togliatti, utile per illustrare una storia lineare e senza conflitti del gruppo dirigente del comunismo italiano.

Naturalmente, come si racconta da qualche anno, le cose stanno in maniera diversa, e Canali ha il merito di mettere assieme tutti i tasselli anche sulla base di nuove acquisizioni documentali. Innanzitutto lo studioso smonta la linea di continuità fra Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, che già dall’ottobre 1926, poco prima dell’arresto del leader sardo, interpretavano due linee diverse e due modi opposti di intendere il lavoro politico. Canali cita in particolare due lettere a Togliatti in cui Gramsci prende le distanze da un modo di agire burocratico e opportunista e soprattutto esprime una concezione del «centralismo democratico» opposta a quella interpretata da Stalin e dal gruppo dirigente dell’Internazionale comunista. Gramsci è per l’inclusione delle opposizioni, a cominciare da Trockij, e per la costruzione del socialismo che non esclude un passaggio attraverso la «democrazia borghese», gli altri sono per il muro contro muro e l?eliminazione dei dissidenti. È questa l’origine di una divergenza che si acuirà con gli anni, fino a toccare il suo acme con la nota vicenda della lettera di Ruggero Grieco del 29 febbraio 1928, che fece infuriare il leader sardo, ormai prigioniero da un anno e mezzo. Mentre era ancora aperta l’istruttoria per il processo che avrebbe portato a una condanna di oltre vent’anni ed erano in corso trattative (anche con la mediazione vaticana) per uno scambio di prigionieri tra l’Urss e l’Italia, Grieco mandava una lettera (partita da Vienna per Mosca e da qui spedita in Italia) che non poteva non mettere in allarme il sistema di sorveglianza fascista. Tanto che, nel dicembre 1932, Gramsci arrivò a confidare alla cognata Tania: «Può darsi che chi scrive fosse solo irresponsabilmente stupido e qualche altro, meno stupido, lo abbia indotto a scrivere». L’allusione, come viene confermato da documenti e testimonianze successive, è a Togliatti. È questi, secondo Gramsci, il personaggio «meno stupido» che lo aveva danneggiato. Il giudice istruttore Macis, che evidentemente aveva letto anche le lettere inviate da Grieco ad altri dirigenti del Pcd’I in carcere, aveva avvertito il capo comunista che c’era qualcuno fra i suoi amici che aveva interesse a tenerlo dentro.

Nell’intricata vicenda Gramsci, Canali analizza il ruolo avuto dalla famiglia della moglie, Giulia Schucht, ma anche quello dell’economista Piero Sraffa, di cui posticipa di circa un decennio l’adesione al comunismo attribuita dalla vulgata, e la responsabilità di Ignazio Silone nell’arresto di Gramsci. Fu Secondino Tranquilli, alias Ignazio Silone, alias «Silvestri», responsabile della propaganda del Pcd’I e informatore del funzionario di polizia Guido Bellone, a indicare a questi con precisione il ruolo di leader ricoperto da Antonio Gramsci. Il processo si basò fondamentalmente sulle accuse di Bellone. Ma il filo conduttore del racconto rimane l’ambiguo atteggiamento tenuto verso Gramsci da Togliatti, il quale, in una breve storia dei primi anni di vita del Pcd’I scritta nel 1932 ad uso del Comintern, rievocando il periodo 1923-1926, omise il nome di Gramsci, che era invece in quel periodo il leader riconosciuto del partito. Dopo la morte del pensatore comunista, avvenuta il 27 aprile 1937, la cognata Tatiana tornò a Mosca con l’intenzione di fare i conti con Togliatti. Il Comintern in effetti istruì un’inchiesta (condotta da Stella Blagoeva) che nel 1940 portò all’allontanamento del «compagno Ercoli» dalle cariche direttive. La sconfitta del fascismo e la necessità di ricostruire il partito in Italia furono la salvezza per Togliatti. Nel dopoguerra cominciò la gestione dell’eredità intellettuale di Gramsci, che passò attraverso la pubblicazione, con omissioni e destrutturazioni, dell’opera, base preziosa per la teoria della via italiana al socialismo. Un corpus di saggi e testimonianze usato e manipolato anche per costruire la leggenda di «Togliatti erede di Gramsci».

 da www.igsitalia.org, recensione di Nerio Naldi (International Gramsci Society Italia)

La tesi principale del nuovo volume di Mauro Canali Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata (Marsilio, Venezia, 2013) è che Togliatti tradì Gramsci. Lo tradì politicamente, a partire dall’ottobre del 1926, quando si oppose alla sua intenzione di presentare un documento che era favorevole alla parte maggioritaria del Partito comunista sovietico, ma al tempo stesso critico di alcuni tratti della sua politica; lo tradì accettando i dettami di Stalin negli anni che seguirono; lo tradì intervenendo con pesanti censure e manipolazioni nella pubblicazione dei suoi scritti dopo la fine della guerra. Lo tradì criminalmente, a partire dal febbraio del 1928, sabotando molteplici tentativi di ottenerne la liberazione.

La tesi non è nuova e la presenza di zone d’ombra nella storia del Partito comunista italiano e nei rapporti fra questo e Gramsci e in particolare nei rapporti fra Gramsci e Togliatti è riconosciuta da tempo. Ma Canali presenta nuovi documenti e riletture di fonti già note che rendono il suo lavoro di grande interesse. In particolare, Canali presenta lettere inedite inviate da Mosca a Tatiana Schucht nel 1925, documenti inediti conservati in archivi vaticani e della Compagnia di Gesù relativi a un tentativo di impostare una trattativa per la liberazione di Gramsci e Terracini sviluppatosi negli ultimi mesi del 1927 e documenti relativi a un’inchiesta su presunti comportamenti ostili a Gramsci, in cui il principale accusato era Togliatti, svolta in Unione Sovietica alla fine degli anni Trenta (in questo caso si tratta di appunti solo parzialmente inediti conservati negli archivi dell’Internazionale Comunista, ma fra questi vi è anche l’originale dell’importante lettera di Gramsci del 5 dicembre 1932, nota dal 1965 attraverso una trascrizione dattiloscritta che ora possiamo dire fedele all’originale). Tuttavia, il volume mostra anche gravi limiti ed è su questi che ora, pur considerando solo pochi esempi, vorrei richiamare l’attenzione.

Cominciamo con due esempi di critiche che ritengo si possano rivolgere al modo in cui Canali interpreta documenti noti o inediti. A mio avviso, la documentazione prodotta da Canali non consente di giudicare fondati i sospetti sulle responsabilità di Togliatti nel sabotaggio dei tentativi di ottenere la liberazione di Gramsci. Tale documentazione dovrebbe piuttosto indurre a inquadrare quei sospetti in un contesto in cui i principali responsabili di azioni ostili a Gramsci potrebbero essere stati elementi interni agli apparati sovietici. Infatti, sia dai documenti relativi alle indagini compiute nel 1939 da Stella Blagoeva sia dai documenti relativi al tentativo di liberazione del 1927 mi pare emergano responsabilità nell’ostacolare i tentativi di ottenere la liberazione di Gramsci più di parte sovietica che di Togliatti. Ad esempio, in uno di quei documenti si può leggere che «della questione dello scambio a Roma era informato a suo tempo Potemkin, ma non riceve indicazioni sul da farsi benché (1934) il console Dneprov (Nkvd) riferisca che ci siano le condizioni per uno scambio» (Canali 2013 pp.245-6). Analogamente, ritengo che Canali interpreti in modo forzato la dichiarazione resa da Gramsci il 14 ottobre 1934 al commissario di PS Antonino Valenti circa il comportamento che si proponeva di seguire una volta ottenuta la liberazione condizionale. Anche volendo ignorare il fatto ovvio che un detenuto condannato dal Tribunale speciale e liberato condizionalmente non avrebbe potuto riprendere a svolgere attività politica pena l’immediato ritorno in prigione, non mi pare giustificato leggere nella dichiarazione di Gramsci un impegno a uscire dalla politica attiva che implicava un’abdicazione dei propri principi (Canali 2013 pp.156-7). Al contrario, considerando anche il verbale che di quell’incontro stilò il commissario Valenti (il verbale è conservato all’Archivio centrale dello Stato nel fascicolo del Casellario politico centrale intestato a Gramsci), direi che la dichiarazione richiesta a Gramsci evidenziasse un cedimento non da parte di Gramsci, bensì di Mussolini. Mussolini non chiedeva nulla a Gramsci, se non di riconoscere che il suo gesto – di Mussolini – non comportava un cedimento politico. Paradossalmente, era Mussolini a chiedere che Gramsci si facesse garante del carattere non compromissorio della decisione che aveva preso. D’altra parte, se Mussolini voleva alleggerire la propria responsabilità nei confronti della vita di Gramsci – vista la sua determinazione a non cedere – gli spazi di manovra che gli restavano non erano ampi (cfr. G. Vacca, Vita e pensieri di Antonio Gramsci (1926 – 1937), Einaudi, Torino, 2012, pp.290-2; e N. Naldi, La liberazione condizionale di Antonio Gramsci, in Studi Storici, 2013, pp.389-92).

Quanto detto fin qui riguarda interpretazioni proposte da Canali. In altri casi il volume di Canali presenta affermazioni che non considerano documenti disponibili o lavori pubblicati in anni recenti che le smentirebbero. Un esempio lo troviamo nel modo in cui Canali discute il tema della lettera inviata a Gramsci da Ruggero Grieco nel febbraio del 1928 – lettera che secondo Gramsci avrebbe rappresentato un grave ostacolo al buon esito del primo tentativo da parte sovietica di ottenerne la liberazione. Canali accoglie un’ipotesi circa l’individuazione in Piero Sraffa della persona che, informata da Tatiana Schucht del contenuto della lettera di Grieco presumibilmente fra maggio e giugno 1928, aveva giudicato quella lettera criminale (Canali 2013 p.88 n.37). Tale ipotesi è stata smentita da tempo da un saggio di Giancarlo de Vivo (“Gramsci, Sraffa e la «famigerata lettera» di Grieco”, Passato e presente, 2009; pp.86-91)  e il fatto, ricordato anche da Canali, che Sraffa e Tatiana Schucht si incontrarono soltanto nell’autunno del 1928 rende alquanto improbabile che quel giudizio fosse stato espresso da Sraffa. Ignorando la ricerca di De Vivo, Canali (2013 p.168 n.8) non comprende neppure il significato del riferimento da parte di Sraffa a due disastri di prim’ordine contenuto in una sua lettera a Paolo Spriano (P. Sraffa, Lettere a Tania per Gramsci, a cura di V.Gerratana, Editori Riuniti, Roma, 1991; pp.271-2). Con tali disastri si devono intendere due episodi che, nel corso del 1933, impedirono che Gramsci ottenesse, attraverso un ricorso presentato al Tribunale speciale dall’avvocato Saverio Castellett, una riduzione della pena a cui era stato condannato – nulla che avesse a che fare con la lettera di Grieco.

Ancora a proposito della lettera di Grieco: Canali, vede in una lettera di Tatiana Schucht a Sraffa del 28 settembre 1937 il segnale di una ritrattazione da parte di Sraffa rispetto a valutazioni che questi avrebbe precedentemente espresso proprio sulla lettera di Grieco. Ma Canali trascura di considerare con attenzione la precedente corrispondenza fra Sraffa e la stessa Tatiana (lettere del 9, 16 e 18 settembre 1937, pubblicate in Sraffa, P. Lettere a Tania per Gramsci, pp.186-9). Se leggiamo quelle lettere possiamo vedere che il passo della lettera di Tatiana Schucht che Canali ritiene cruciale (Canali 2013 pp.167-8) si riferisce alla lunga attesa da parte dei familiari di Tatiana del suo rientro a Mosca: nulla che abbia a che fare con ritrattazioni che non abbiamo alcun motivo di attribuire a Sraffa.

Un’osservazione a parte merita l’individuazione di Riccardo Lombardi, che non fu mai iscritto al Partito comunista, quale tramite fra Tatiana Schucht e il Centro estero dello stesso partito nel periodo fra il 1928 e il 1929. La ricostruzione proposta da Canali, per quanto forse non conclusiva, è certamente convincente. Ma l’analisi rivela una tendenza da parte dell’autore a considerare aprioristicamente sospetto l’operato dei dirigenti del Partito comunista italiano. Tale tendenza lo porta a trattare gli interrogativi che ritiene destinati a rimanere senza risposta come prove di un sottostante comportamento nascosto e colpevole e non, più semplicemente, come segno dell’incapacità dello storico a fornir loro – appunto – una risposta. Così, Canali sottolinea come sia inspiegabile (quindi sospetto) che i dirigenti comunisti non abbiano dato corso a un’indagine interna sulle incongruenze messe in evidenza da Sraffa fra le somme che risultavano registrate nel libretto carcerario di Gramsci e le somme che Lombardi diceva di avervi fatto pervenire. Ma una spiegazione poteva essere emersa già nel 1929: da alcune note stese da Tatiana Schucht al rientro dal suo primo viaggio a Turi si può dedurre che il direttore del carcere aveva sequestrato somme di denaro inviate a Gramsci perché non risultavano spedite dai suoi parenti (A. Gramsci, T. Schucht, Lettere. 1926-1935, Einaudi, Torino, 1997; p.1428).

Stupisce poi che Canali scriva: «il regime fascista sorvegliò Sraffa, ma la documentazione prodotta da tali controlli o è stata sottratta o non è stata mai versata dal ministero dell’Interno» (Canali 2013 p.53). In effetti, è possibile che una parte di tale documentazione – quella di cui Canali ha trovato traccia in ACS, Polizia politica, Materia, b.105 (Canali 2013 p.53 n.46) – sia, per motivi che certamente meriterebbero ricerche più approfondite, davvero assente. Ma lo stesso Canali fa riferimento a due altri fascicoli che contengono materiale che è ragionevole supporre coincida almeno in parte con quello apparentemente mancante (Canali 2013 p.38 n.5 e p.165 n.1). Quindi, la documentazione non è assente.

Un ultimo punto. Ci sembra inspiegabile l’idea di Canali secondo cui «fino al 1966, l’unico scritto a carattere biografico su Gramsci risultava essere un breve intervento del segretario del Partito comunista del 1937» (Canali 2013 p.8 n.2). Anche senza entrare in una ricerca dettagliata sul catalogo OPAC del Servizio bibliotecario nazionale, possiamo certamente citare i saggi prodotti da Domenico Zucaro fra il 1952 e il 1961 – ma ve ne sarebbero altri.

In sintesi mi sembra giustificato chiedersi perché un volume che pure contiene importanti contributi sia stato sviluppato con tali discontinuità che ne rendono la qualità complessiva estremamente insoddisfacente. Ultima annotazione: manca un indice dei nomi… una mancanza incomprensibile.