Pratica sociale e democrazia

Società

Oscar Monaco – Ho letto con interesse il documento del circolo PD Settevalli di Perugia sul “nuovo approccio organizzativo”, rispetto al quale mi permetto di proporre una breve riflessione.

Prima è necessaria una premessa di ordine storico: le organizzazioni tradizionali del movimento operaio, i partiti della sinistra, i sindacati, le leghe, le case del popolo, le cooperative, nascono con l’obbiettivo ambizioso un po’ in tutta Europa, a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, di realizzare le premesse del progetto di società nuova delle le grandi correnti di pensiero, cattolico, democratiche, liberali, repubblicane, socialiste e comuniste. In altri termini la Politica non come specchio della società, ma come motore propulsore: gli ideali di eguaglianza, solidarietà e fratellanza, che irrompono un secolo prima nelle società del vecchio continente fanno il salto di qualità che consente il passaggio dalla declinazione teorica o caritatevole di ristrette cerchie di illuminati benefattori che agivano la solidarietà “dall’alto”, al sistema autonomo delle organizzazioni politiche che agiscono “tra pari”. Questo passaggio è cruciale nell’evoluzione della politica fino ai giorni nostri, perché precipita la democrazia da ideale astratto a prassi concreta, con conseguenze profondissime che passeranno dai primi esperimenti di suffragio dell’inizio del 900, al costituzionalismo post bellico, con tutto il suo portato di progetto politico universale e di critica all’esistente. Una kenosis paolina delle filosofie politiche.
Da questo punto di vista l’Italia rappresenta, come ci ha ben spiegato lo storico del movimento operaio Pino Ferraris, un caso particolarmente fertile e originale, che sintetizza efficacemente i principali modelli europei, su tutti quello franco belga, a forte intensità sociale, e quello tedesco, sbilanciato sul rigore organizzativo.

Ora, che ci si interroghi, come fanno le compagne e i compagni del circolo Setevvalli, a partire dalla pratica sociale e democratica sul tema di un nuovo approccio organizzativo non è “solo” un sintomo apprezzabile di vivacità politica, che nel deserto che ci circonda sarebbe già ampiamente sufficiente, ma rappresenta soprattutto il farsi carico di un tema nodale nello sviluppo della politica contemporanea, quello cioè della formazione e selezione dei gruppi dirigenti, giacché la pratica sociale è un modello strutturalmente alternativo alla cooptazione e la verifica dei risultati del lavoro svolto è il contrario dell’affiliazione per correnti.
Il paradosso della crisi che il modello ordoliberale ha prodotto consiste nella depressione delle competenze diffuse nella società, uno sconfinato esercito di riserva intellettuale e pratico sociale relegato ai margini della precarietà come condizione esistenziale, un general intellect frustrato, la cui condizione sta in parte alla radice del versante sinistro dei movimenti cosiddetti populisti. Assumere tra i compiti della politica quello di costruire la società tramite progetti locali di comunità e reti solidali è senza dubbio un’efficace risposta alla logica mortifera della disintermedizione.
“L’organizzazione – sosteneva Vittorio Foa – non nasce dall’ideologia.. . Ma non nasce neppure come riflesso passivo della tecnologia, cioè della dinamica dell’organizzazione capitalistica della produzione e del lavoro. Essa nasce come espressione diretta dei lavoratori, dalle loro contraddizioni interne, dalle rotture e dai dislivelli nelle loro condizioni di lavoro e di vita, dalla presa di coscienza di queste rotture e dalla volontà di superarle.”

Di seguito il documento del circolo PD Settevalli “Settimio Gambuli”

Alcuni spunti di riflessione per un nuovo approccio organizzativo del PD.

Una procedura decisionale che deve basarsi irrinunciabilmente sulla condivisione e la partecipazione alle scelte, i fatti decisivi della nostra comunità devono essere partecipati, il tema delle alleanze di governo, i temi etici e delle grandi scelte come la modifica della costituzione ad esempio non possono essere appannaggio di pochi dirigenti chiusi in una stanza, in questo senso il referendum consultivo, tra l’altro previsto dallo statuto, può costituire un utile strumento di partecipazione.
Un’organizzazione ripensata in termini di struttura e di funzioni da assegnare ai vari livelli organizzativi; in questo contesto non si può più eludere per l’Umbria la discussione sulla semplificazione tra i livelli regionale, provinciale, intercomunale, comunale e circoli. Occorre affrontare il tema del riordino dei circoli non in termini numerici ma ridefinendone funzioni e operatività. Rivedere ciò che è utile e necessario e ciò che non lo è più.
 
Trasparenza e chiarezza sul tema dei doppi incarichi e sulla separazione tra i ruoli apicali del partito e quelli amministrativi, su questo punto è bene essere chiari, il problema non è solo statutario ma di ragionamento politico, la stagione degli amministratori che fanno i segretari di partito ha prodotto troppo spesso analisi dei fatti distorti ed errori, se amministri sei poco incline a vedere errori a metterti in discussione, occorrono luoghi del confronto dove è possibile correggere, proporre soluzioni , un lavoro collegiale e non anarchico tra gruppi consiliari e partito. E’ già gravoso svolgere un incarico averne due o tre soddisfa il proprio ego ma certamente non è utile al bene comune.
 
Revisione e ridefinizione delle modalità di iscrizione, utilizzando anche piattaforme on line e rideterminando il ruolo centrale dei circoli nel tesseramento.
 
La pandemia ha accelerato la necessità di una digitalizzazione del partito a tutti i livelli un modo di comunicare e di operare che il PD ha sempre poco utilizzato , spesso si sono spese risorse economiche in progetti poi abortiti o che si sono sovrapposti tra quelli regionali e quelli nazionale , vedi gestione banca dati, o iscrizioni on line, non si tratta quindi  solo di usare social o gruppi WA  ma di rendere trasparenti e condivise le decisioni , di dare l’opportunità di partecipare senza fare chilometri di avere banche date comuni a tal fine occorre dare uniformità ad un progetto di digitalizzazione nazionale del partito.
 
In sintesi, occorre cambiare verso, occorre un PD nuovo che faccia progetti di comunità, che aiuti cittadini e cittadine a risolvere i problemi di quartiere e che si mobiliti su obiettivi che possano cambiare e migliorare la vita quotidiana delle persone. Un partito che vuole essere parte di una sfida e che combatta le difficoltà e le disuguaglianze. Per fare questo è necessario abbandonare il terreno dello scontro interno ed avere un progetto inclusivo di rete e relazioni, che abbiano al centro la cura della persona e del territorio.
 
Queste sono le grandi aree tematiche del nostro impegno, coerenti con i valori di solidarietà, giustizia sociale ed eguaglianza che animano l’impegno politico di democratici, dentro e fuori le istituzioni.
 
Circoli e territori
L’obiettivo è condividere, partecipare, costruire reti di interessi, integrare il lavoro dei circoli del PD, oggi troppo spesso isolati, aumentare competenze, fare progetti territoriali, rompere schemi precostituiti ed ossificazioni, al fine di dare spazio alla partecipazione diffusa di singoli cittadini, iscritti/elettori, associazioni del territorio. Creare uno spazio condiviso è importante non solo per razionalizzare spese di gestione, cosa oggi più che mai necessaria, ma soprattutto per fare comunità. Non si tratta di togliere autonomia ai singoli circoli, si tratta di creare una rete territoriale di conoscenze, attività e progetti.
 
Il nuovo circolo dovrebbe essere:
–         un luogo che aiuti a far accedere ai servizi del nostro territorio, a indirizzare e sviluppare interventi socio/economici e formativi.
–         un luogo della contemporaneità e dell’integrazione, dove le associazioni del territorio comunale trovino terreno fertile e spazi per operare; un luogo di riferimento per i cittadini e le cittadine umbri.
–         un luogo in cui partito ed associazioni si confrontino allo scopo di creare progetti ampi e condivisi.
–         un luogo di co-working che preveda un utilizzo degli spazi libero e flessibile, in cui diversi soggetti si incontrino e lavorino in sinergia per il territorio
–         un luogo in cui il PD discuta e condivida le linee di indirizzo politico.
 
In altre parole, il circolo non dovrà essere solo un luogo fisico, spesso vuoto, ma un progetto partecipato di società, interattivo e progettuale.

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