Il Mattarella Bis certifica il fallimento della classe dirigente della Seconda Repubblica

Politica

di Alessandro Tedde*, tratto da Sinistra XXI – Negli ultimi giorni, in occasione delle votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, tutti abbiamo assistito alla certificazione del fallimento di un’intera classe dirigente, quella nata dalla cosiddetta “Seconda Repubblica”. Il punto più basso è stato probabilmente raggiunto al momento della proposta, arrivata dopo la sesta votazione, di eleggere come Capo dello Stato la Direttrice dei Servizi Segreti ancora in carica, facendo un uso capzioso della questione femminile come ariete per una manovra di Palazzo a dir poco opaca.

Ora non ci sono più dubbi: l’Italia è ufficialmente una democrazia bloccata. I partiti politici, come organismi di mediazione tra il popolo e il Parlamento, non esistono più. Le forze sociali hanno dimostrato di rappresentare tutto meno che la società. I parlamentari stessi hanno abdicato alla propria funzione di centro del circuito politico-democratico. Nella giornata di oggi abbiamo assistito, infatti, all’inaugurazione di un nuovo metodo di elezione: quello “per implorazione”, come è stato argutamente definito.

Ricorrere per la seconda volta consecutiva all’espediente della rielezione del Presidente della Repubblica in carica rappresenta una stortura costituzionale e istituzionale inaccettabile, la cui responsabilità è da attribuire tutta ai presunti “capi” delle forze politiche, costretti a inseguire quel terzo di grandi elettori “non intruppati” che ha preferito buttarsi sul nome di Mattarella piuttosto che continuare ad assistere al “salto del capretto” portato avanti da Matteo Salvini, con la complicità attiva di Giuseppe Conte e quella passiva di Enrico Letta.

Non è credibile che nessun nome autorevole si fosse reso disponibile. Per dirne una, già solo nel gruppo della nuova presidenza della Corte costituzionale c’erano figure tali da poter soddisfare tutte le tendenze politiche. Ciò che appare chiaro è che Mattarella abbia accettato, probabilmente, più per un senso di pietas cristiana che per volere personale: pietosa, infatti, è la figura fatta da chi oggi si è reso protagonista del pellegrinaggio al Colle per implorarlo ad accettare la ricandidatura.

Peraltro, volendo rimanere coerente con le proprie dichiarazioni precedenti, c’è da immaginare che il mandato di Mattarella possa non essere svolto per l’intera durata di sette anni. Forse che qualcuno spera, con questa manovra, di preparare l’ascesa dell’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, all’indomani delle prossime elezioni politiche, che sanciranno ufficialmente l’avvento del primo Parlamento oligarchico della storia della Repubblica democratica?

Mattarella bis, Draghi o Belloni, oggi è stata ratificata la fine della Repubblica parlamentare: un processo che era nato anni fa, nella mente di chi auspicava alla “rinascita democratica” del Paese. Quanto accaduto, infatti, dà ancora più forza a chi, come le destre reazionarie, auspica la trasformazione dell’Italia in una repubblica presidenziale o semipresidenziale.

Il punto non è sul nome – è bene ribadirlo – il punto è sul metodo e il metodo ha sancito che la democrazia rappresentativa non esiste più in questo Paese: questo è il portato, anche e soprattutto a sinistra, di avere investito tutto sulla permanenza a ogni costo nello Stato-apparato, senza aver più costruito nulla nell’ambito dello Stato-comunità.

Cretinismo parlamentare, infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l’onore di annoverarli tra i suoi membri, e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio, […] non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all’importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l’attenzione dell’onorevole loro assemblea”.

Non ci sono parole migliori di queste di Karl Marx e Friedrich Engels per commentare la distanza siderale tra le istituzioni e la vita delle persone comuni di cui abbiamo avuto prova in questa settimana. Auspichiamo, quindi, che nascano forme nuove della politica, in cui alla scissione tra sparuti militanti e dirigenti inventati ritorni a farsi valere il richiamo gramsciano al mutuo e necessario incontro tra movimenti spontanei delle masse e costruzione di una loro direzione consapevole.

Alessandro Tedde

* Alessandro Tedde

(Sassari, 1988). Avvocato e giurista, presidente di Sinistra XXI, in passato ha militato in alcune formazioni politiche della sinistra, anche assumendo ruoli dirigenziali. Nel 2008 è stato uno dei fondatori dell’allora più grande sindacato studentesco d’Italia, la Rete degli Studenti Medi.

Laureato con lode all’Università di Sassari con una tesi in diritto costituzionale sul principio di sovranità popolare, ha conseguito un diploma in Studi e ricerche parlamentari all’Università di Firenze e attualmente è dottorando di ricerca in Diritto dell’Unione europea e ordinamenti nazionali presso l’Università di Ferrara.Sito web: www.avvocatoalessandrotedde.it