Bersani: non mi piace l’Europa solo con l’elmetto, si spinga sul negoziato

Politica

Intervista a la Repubblica

di Concetto Vecchio

Nel suo ufficio alla Camera Pierluigi Bersani ha l’espressione grave. Dice: “Non mi sta bene questa Unione europea solo con l’elmetto”.

Lei ha votato per l’invio delle armi all’Ucraina.
“Non c’è nessuna contraddizione. Ho votato a favore degli aiuti militari, penso che l’aggressione criminale di Putin non abbia alcuna giustificazione storica, trovo giuste le sanzioni. Ma allo stesso tempo reputo insufficiente l’operato dell’Europa”.

Cosa rimprovera a Bruxelles?
“Dovrebbe spendersi per il cessate il fuoco, spingere per il negoziato, ma questa voce non la sento”.

Perché ha votato l’invio delle armi?
“Perché è una decisione che aiuta non a parole la resistenza ad un’aggressione e che ha l’ombrello dell’Unione e del Parlamento europeo. Altrimenti non lo avrei fatto: saremmo stati ai limiti dell’articolo 11 della Costituzione”.

L’Europa ha superato un limite?
“Ha rotto un tabù. Ma la Ue non è la Nato. Siamo di fronte a un inedito. Una scelta che non esprime da sola la sua vocazione ad operare per la pace, allargandosi senza mai alzare i muri. In altre parole: rendendosi accogliente e desiderabile”.

Vede poca politica?
“Pochissima. Dire, come fanno taluni, che ci sono le bombe e quindi non può esserci la politica, farà andare ancora di più le bombe”.

Oggi l’urgenza non è la difesa di Kiev? Se cade non è tutto perduto?
“Kiev va difesa ad oltranza, naturalmente. Occorre stare con i resistenti ucraini, mettendo in campo un’azione diplomatica e un messaggio che invochi il cessate il fuoco”.

Putin le sembra uno disposto al dialogo? Macron e Scholz ci hanno provato fino all’ultimo.
“So bene che ci ha preso in giro. Ma la postura dell’Europa è di provarci incessantemente, pensando anche al dopo. Tengo sempre a mente la lezione di Metternich nel 1814”.

Qual è?
“Dopo aver sconfitto Napoleone pretese che anche la Francia sedesse al tavolo del congresso di Vienna, per decidere insieme i nuovi equilibri. Dopo l’89 non è andata così”.

Servirebbe un Metternich anche oggi?
“Sì, e non è esattamente un bersaniano”.

Lei sta dicendo che ci vorrebbe più complessità per uscire da questo conflitto?
“Più senso della storia, almeno. Perché la politica non produce più gli statisti di una volta? Siamo tutti col fiato corto”.

Quale è la sua paura?
“Se non teniamo aperta una via d’uscita e la prospettiva di una composizione alla fine rischiamo di ritrovarci con una Russia ancora più radicalizzata. E con nuovi nazionalismi. Il nazionalismo – ammonì Mitterrand nel suo lascito testamentario – vuol dire guerra”.

Ma è lo stesso Zelensky che chiede in primis aiuto militare.
“Faccio notare che Zelensky fa entrambe le cose: combatte e tratta”.

Anche lei pensa, come tanti a sinistra, che la Nato si sia allargata troppo ad Est?
“Penso che ci sia stato un errore del 1991, quando dopo la dissoluzione del mondo sovietico non si tentò di coinvolgere la Russia nel nuovo equilibrio europeo. I russi hanno sempre discusso su come sentirsi europei, non se essere asiatici. Invece si lasciò Gorbaciov da solo. Accettò la sconfitta storica senza versare una goccia di sangue. Meriterebbe solo per questo sette premi Nobel per la pace”.

Putin non è come Hitler che invase la Polonia nel 1939?
“Putin è Putin. Un autocrate nazionalista che da qualche anno abbiamo scoperto imperialista. Noi dobbiamo ribadire la nostra storia, aiutare la Resistenza e promuovere la diplomazia”.

Questo ragionamento ora non è un modo per giustificare Putin?
“Affatto. Non c’è alcuna giustificazione. Detto questo. Si può ancora discutere in questo Paese, affrontando criticamente una vicenda così drammatica? Sono molto colpito dal coro che sento. Non mi piace”.

Mi può fare un esempio?
“La Bicocca aveva interrotto una corso su Dostoevskij: demenziale. Si parte dagli artisti, ma di questo passo si chiederà anche alle badanti russe di dissociarsi”.

Non si deve essere da una sola parte senza se e senza ma?
“Sì, certo, ma mantenendo la testa aperta al ragionamento. Marc Innaro, il corrispondente del Tg2, rischia il licenziamento perché ha espresso un’opinione? È questa l’idea di Occidente che abbiamo?”.

Quali sono i sentimenti del popolo della sinistra?
“Le piazze piene sono lì a dimostrare che la gente vive un’angoscia profonda e vuole che venga fatto tutto il possibile per la pace. Bisogna tendere la mano a queste persone”.

Come valuta i discorsi di Draghi alle Camere?
“Ha espresso una posizione in linea con l’attuale Europa”.

La Germania che aumenta le spese militari è un esempio anche per noi?
“È un fatto storico. La Ue si deve dare certamente un meccanismo di difesa europeo. È giusto riconoscere anche la presenza di Paesi neutrali. L’Europa non è la Nato”.

Lei lamenta un doppio standard?
“Ci sono trenta guerre in giro per il mondo, non mi pare che l’Occidente si sia schierato sempre con i resistenti”.

Qui abbiamo la guerra a due passi da casa.
“In termini di chilometri non è che la Libia sia più lontana”.

Ha conosciuto Putin?
“Sì, quando portai l’Enel in Russia, ai tempi del governo Prodi. Era assertivo, con i tratti tipici dell’autocrate. È stata la destra a farne un idolo. Putin ha percepito questa sua fascinazione. Non va dimenticato”.