Riforme e controriforme anticorruzione

Editoriali

Le politiche del Governo stanno producendo “scientificamente” condizioni più propizie per una pratica indisturbata, impunita e profittevole di svariate forme di “abusi di potere per fini privati”. L’analisi di Alberto Vannucci

Da cosa scaturisce la pervicace volontà politica dell’esecutivo e dell’ampia maggioranza parlamentare di destra che lo sostiene di individuare quali priorità l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, la riforma del traffico di influenze illecite – di fatto restringendone la portata fino a renderlo insignificante – , la limitazione delle intercettazioni e dell’utilizzo dei captatori elettronici (i cosiddetti trojan) nelle indagini sui reati contro la pubblica amministrazione, la cancellazione dell’obbligo di decadenza degli amministratori locali condannati in via non definitiva? In una stagione pre-elettorale, con le elezioni europee e diverse consultazioni amministrative alle porte, misure di questa natura dovrebbero risultare particolarmente impopolari in un paese nel quale la sfiducia sull’integrità della classe politica sprofonda tra i livelli più alti in Europa. Secondo l’ultimo Eurobarometro del 2023,  l’85 per cento dei cittadini italiani crede che la corruzione sia diffusa, l’86 per cento ritiene sia aumentata o rimasta invariata negli ultimi tre anni, il 63 per cento pensa che nei partiti politici tangenti e abusi di potere per ottenere vantaggi personali siano prassi corrente. Precisamente quegli stessi abusi di potere che – quando la “riforma Nordio” andrà a regime – non saranno più perseguibili, cancellando dal casellario le migliaia di condanne già comminate. Tutto questo in controtendenza rispetto alle preoccupazioni già espresse delle istituzioni europee, proprio mentre a Bruxelles si va elaborando una direttiva sulla corruzione che imporrebbe agli stati membri la presenza di un reato di abuso d’ufficio nel proprio ordinamento, esponendo l’Italia a una futura procedura d’infrazione.

Possiamo solo formulare ipotesi, naturalmente, tuttavia “unendo i puntini” un disegno sembra riconoscibile, una strategia pare delinearsi. Il suo primo pilastro consiste nel rinsaldare un patto implicito di connivenza con alcuni segmenti della “società civile”, innalzando la soglia di tolleranza istituzionale verso le innumerevoli forme di irregolarità, informalità, evasione, illegalità appannaggio di una componente non irrilevante della propria base elettorale. Vanno in questa direzione, tra l’altro, l’innalzamento del tetto all’utilizzo del contante, la sequela di concordati fiscali, la fiera resistenza governativa alle prescrizioni europee in difesa dei privilegi di concessionari balneari o tassisti.

Seconda componente, indebolire tutti i meccanismi di controllo istituzionale e civico sulla gestione del potere pubblico, invocando presunte esigenze di snellezza ed efficienza procedurale, oppure facendo un consueto richiamo a principi di pseudo-garantismo. Si possono citare qui, sul versante penale, la cancellazione dell’abuso di ufficio, reato-sentinella che spesso in passato ha permesso agli inquirenti di scoperchiare sottostanti circuiti di malaffare; il drastico restringimento del campo di applicazione del reato di traffico di influenze illecite, che renderà l’azione dei mediatori e dei faccendieri perseguibile solo in presenza di “contatti” concretamente e deliberatamente utilizzati tramite contropartite di natura economica per indurre i funzionari ad atti contrari ai doveri d’ufficio (per intenderci: con le nuove norme la “cricca” dei Verdini, che promuoveva lo scambio di appoggi alla carriera con informazioni confidenziali, la farebbe franca); la stretta all’impiego delle intercettazioni e all’uso dei trojan nelle indagini per reati contro la pubblica amministrazione; l’ennesima riforma della prescrizione, che ne restringerà i termini di nuovo a garanzia dell’impunità dei potenti coinvolti in procedimenti penali.

Ma su questo versante l’azione è ad ampio raggio, e investe anche i controlli contabili – la Corte dei conti si è già vista cancellare la supervisione “in itinere” sugli appalti del PNRR, e un disegno di legge governativo mira a restringere drasticamente la sua futura azione di riscontro e sanzione di eventuali danni erariali prodotti da politici e funzionari nella gestione delle risorse pubbliche; i controlli istituzionali, tramite la limitazione delle funzioni di vigilanza sugli appalti dell’Autorità anticorruzione (ANAC) prevista dal nuovo codice, simbolicamente rappresentata dallo sgarbo governativo del mancato invito del Presidente ANAC alla conferenza internazionale anticorruzione; i controlli civici, con il “bavaglio” all’informazione nel rappresentare i contenuti delle ordinanze e delle indagini in corso da un lato, la prevalente opacità sulla gestione delle risorse PNRR certificata dal monitoraggio condotto da Libera e Gruppo Abele.

Da ultimo, l’accelerazione forzosa delle modalità di gestione dei processi decisionali impressa al settore dei contratti pubblici dal cosiddetto “Codice Salvini”, che nella fase di massimo afflusso di risorse nel settore da decenni – grazie ai fondi PNRR – accresce esponenzialmente il potere discrezionale dei funzionari di assegnare forniture, appalti per servizi e lavori pubblici senza concorrenza e con scarsissima trasparenza. E’ stato calcolato che nel 98% dei casi i contratti saranno assegnati in modo diretto, ovvero con una consultazione informale di pochi operatori economici selezionati dallo stesso funzionario. Facile prevedere il convergere di appetiti criminali sugli esiti di quelle scelte, più o meno condizionati e “coordinati” da interessi mafiosi.

In sintesi: le politiche dell’esecutivo e della maggioranza di destra estrema che lo sostiene stanno producendo “scientificamente” condizioni più propizie per una pratica indisturbata, impunita ed estremamente profittevole di svariate forme di “abusi di potere per fini privati”, ben presto non più perseguibili come reati dalla magistratura, né segnalabili come tali dalla stampa, e perciò non più riconoscibili dall’opinione pubblica.

Una classe politica rampante che oltre al governo nazionale presidia in misura crescente anche le amministrazioni locali potrà trovare da quei circuiti fonti di finanziamento e di consenso clientelare per rafforzare ancora di più la propria presa sul potere, senza più temere interferenze indebite o denunce. Nel caso malaugurato dovesse passare la prefigurata riforma costituzionale sul premierato, l’esercizio di quei poteri si farà ancora più verticistico, sottratto ai meccanismi di bilanciamento incrociato di poteri che contraddistinguono le liberal-democrazie e lo stato di diritto. Sembra profilarsi all’orizzonte un modello di democrazia illiberale nello stile alla Viktor Orban, “autocrate eletto” di un paese contraddistinto da corruzione sistemica ad altissimo livello, dove nell’impotenza di una magistratura asservita le cricche economico-finanziarie legate al partito del leader la fanno da padrone. E’ l’Ungheria il futuro dell’Italia?

Alberto Vannucci, Ufficio Presidenza Libera e Professore di Scienza politica, Università di Pisa