Federico Quadrelli* – Del rapporto tra mondo del lavoro e sviluppo tecnologico sentiamo parlare ormai da molto tempo e non sempre con toni ottimistici. Le trasformazioni che negli ultimi decenni hanno interessato interi settori economico-produttivi, dal punto di vista dell’aumento dell’impiego di macchinari, più o meno complessi, hanno certamente cambiato la nostra percezione di “lavoro”. Sono fiorite analisi raffinate di sociologi ed economisti sugli effetti dell’automazione e della digitalizzazione per milioni di lavoratrici e lavoratori, tuttavia il tutto sembrava muoversi con lentezza, forse a causa della convinzione che questi processi, seppur rapidi, fossero ancora controllabili e diluiti in un arco di tempo lungo.
La pandemia prodotta dal Covid-19 ha di fatto stravolto il mondo, accelerando in modo spaventoso questi processi di digitalizzazione e di ricorso a nuove forme di organizzazione della vita quotidiana e del lavoro. La pandemia ha spinto verso un sempre più massiccio ricorso alla tecnologia anche in ambiti fino a questo momento rimasti estranei alla discussione accademica e specialistica: la scuola, di ogni ordine e grado; le relazioni all’interno delle famiglie con il ricorso a videochiamate o messaggistica istantanea; il lavoro da casa e il ricorso a piattaforme di acquisti online, in pratica per ogni tipologia di prodotti, dai libri al cibo.
Questo stravolgimento dei tempi e modi del vivere ha interessato anche il mondo dell’attivismo politico e dei partiti. Sì, se ne parla poco, ma questa rivoluzione digitale forzata, ha travolto anche strutture considerate fino a ieri monolitiche ed impermeabili ai cambiamenti. La pandemia ha costretto anche queste strutture a ripensare se stesse e a trovare modi innovativi con cui fronteggiare l’emergenza e portare avanti l’attività politica di sempre. Anche la politica si sta digitalizzando e questo può rappresentare un salto in avanti che era atteso da tempo. Ci sono movimenti o partiti che del digitale hanno fatto una ragion d’essere, si pensi ai Pirati tedeschi o al M5S degli albori. Altri, invece, hanno sempre fatto resistenza, come i partiti solidi e più tradizionali. Dietro a questa resistenza ci possono essere ragioni nobili come il voler privilegiare sempre l’incontro di persona e il momento “sociale” dello stare insieme, ma anche ragioni meno nobili, come la possibilità di controllare meglio le dinamiche di potere, secondo la logica del “meno siamo meglio è”. Già, perché il digitale consente una partecipazione più forte ed ampia, non essendo necessaria la presenza fisica e dunque dovrebbe – in teoria – sostenere un aumento di partecipazione attiva da parte di iscritte/i e/o militanti.
I partiti tedeschi hanno fatto i primi congressi digitali della propria storia eleggendo i rispettivi presidenti con sistemi di voto controllati ed altamente sofisticati. Questo è accaduto ad ogni livello, anche per la selezione di candidature alle elezioni comunali, provinciali e regionali. Di questo percorso innovativo digitale sono un diretto testimone, sia nel partito socialdemocratico tedesco di Berlino, sia nel Partito Democratico italiano, che ha eletto il nuovo Segretario Enrico Letta proprio con questa modalità digitale. Il mondo non è finito. La partecipazione non si è snaturata e anzi, questa nuova stagione sembra aver dato alla politica e ai partiti una nuova linfa.
La digitalizzazione è un processo ormai inarrestabile. Che piaccia o meno c’è e rimarrà a lungo un tema all’ordine del giorno. Come ogni cosa nuova c’è chi è spaventato e restio, chi è entusiasta ed euforico. Una sorta di riproposizione di un dibattito che si è avuto in passato per quel che riguardava il ruolo della televisione nella distinzione che Umberto Eco aveva evidenziato tra “apocalittici” ed “integrati”. Se la digitalizzazione è ormai divenuta parte integrale di ogni sfera della vita delle persone, la politica inclusa, allora è bene interrogarsi come governare al meglio il processo, limitare gli effetti negativi e massimizzare quelli positivi. Dopo questa pandemia niente tornerà come prima e questo non vale solo per il mondo del lavoro, dell’impresa, della scuola e della vita quotidiana, ma anche per la politica, quella dei movimenti e dell’attivismo, dei partiti e delle strutture solide, della politica istituzionale, che dovrà interrogarsi su come modernizzare i processi di discussione e votazione anche nelle assemblee elettive. Forse non accadrà domani, ma prima o poi anche di questo dovremo discutere.
*segretario del circolo PD di Berlino