Cattivi Maestri

Società

Ripropongo e aggiorno (canna d’organo 2021) questo grafico sulla lunga durata della storia elettorale della sinistra nell’Italia repubblicana e invito a riflettere. Se si votasse oggi il centro-sinistra, composto da Pd, 5S e le altre formazioni di sinistra (comunque al netto delle ‘forze’ centriste) totalizzerebbe, stando alle medie demoscopiche, il 43 %. Che sia sufficiente a vincere senza il concorso di qualcos’altro è da valutare. Ciò che è certo è che questo aggregato sarebbe in grado di toccare la vetta del 2006 quando l’Unione seppure per un soffio guadagnò la vittoria.
Il rientro del M5S nell’orbita del centro sinistra coincide con il ripristino del blocco elettorale storico (quantomeno, qui bypassando il tema se ancora si possa parlare di blocco storico sociale) della sinistra. Un blocco che fra il 2013 e il 2018 si era snaturato (per la deviazione neo-liberista) e ristretto ai minimi termini proprio per l’irruzione anomala e contro-reattiva del M5S.
La tenuta elettorale certificata dai rilevamenti demoscopici, ma anche dalle elezioni parziali, testimonia che le politiche di convergenza e le conversioni dell’indirizzo identitario avviate da Letta e Conte trovano riscontro nell’elettorato. Al di là delle fibrillazioni interne dei partiti. Il problema che nell’ultimo decennio ha afflitto e tuttora affligge la democrazia italiana non è l’assenza o la debolezza del ‘centro’, ma lo sfarinamento del blocco di centro-sinistra. Anche e soprattutto nell’immaginario dell’elettorato. Questo blocco coincide nella storia nazionale con quella linea di ‘casematte’ fondamentali per reggere, seguendo l’intuizione gramsciana, la lunga durata della guerra di posizione. Senza la tenuta di queste ‘retrovie’ ogni avanzata è un azzardo ed espone a goffe sconfitte. Così è stato nell’epoca del culto del ‘partito maggioritario’ poi evoluto come ‘partito della nazione’.
Se il M5S sotto la guida di Giuseppe Conte evolve ancorandosi alla famiglia progressista della sinistra europea e se il Pd sotto la guida di Letta ritrova il proprio spazio naturale di centro-sinistra, e se entrambi convergono in una alleanza socialmente riformatrice e progressista ben incardinata nell’orizzonte costituzionale ed europeista, tale processo dovrebbe essere salutato come una garanzia della stessa democrazia.
Non sorprende perciò che gli attacchi al M5S da parte dell’establishment ‘neo-centrista’, nel tentativo ossessivo di dividerlo, isolarlo, frantumarlo, tocchi oggi vette più acute che ieri. Lo scopo è infatti quello di disarticolare il blocco di centro-sinistra in via di riaggregazione. Questa campagna si avvale di diversi sofismi politologici. Di carattere moderato e destrorso ma anche di pseudo-sinistra. In quest’ultimo caso volendo fare intendere che solo liberandosi delle ‘impurità’ grilline la sinistra possa riguadagnare la sua ‘purezza’ (quale proprio non si sa).
La tesi di fondo che va per la maggiore (anche operativamente, con un battage assillante dell’intero oligopolio mediatico), è che solo avviandosi motu proprio questa dissoluzione è possibile disarticolare il blocco della destra liberando le forze ‘europeiste’ dall’abbraccio coi ‘sovranisti’. Messa giù terra terra, una singolare strategia di attacco (si direbbe grottescamente ghandiana): deporre le armi, abbandonare le difese e andare incontro ai nemici sperando di rabbonirli e portandoli alla ragione con una magnanima autocritica.. Ridicolo.
Personalmente giudico il ritorno del bipolarismo come un fatto positivo. Questo non significa abbracciare di necessità un sistema elettorale maggioritario che obbliga alle alleanze ex-ante, ma se il ritorno al proporzionalismo è pensato come il viatico a una scomposizione delle forze per fare emergere una palude neo-centrista composta di forze idealmente anonime, vocate alla mera governance pseudo-sistemica e radicate nel solo potere, allora si entra nella cecità e nell’avventurismo. Un disarmo unilaterale.
Più a fondo non credo che la destra si presterà all’autoflagellazione ed alla sublimazione delle proprie radici ideologiche in un irenico impasto liberalistico. Solo battendola sul campo, conducendo a fondo la lotta per l’egemonia sarà possibile stemperarne la forza. L’idea coltivata anche da sinistra di farsi carico in proprio, cedendo quote della propria identità, per favorire una europeizzazione in chiave conservatrice-liberale della destra è una idea balorda. Con effetti perversi. Lo si è visto nell’esito di quel tentativo a suo tempo operato con la bicamerale, dove la sinistra si perse in un disperato eclettismo, per il quale ci si coricava semi-presidenzialisti e ci si ridestava come cultori del cancellierato tedesco. E lo si è visto nel tentativo renziano e forzitalico verdiniano mdi snaturare la Costituzione. Per non parlare delle profferte di ‘pacificazione’ sulla frontiera fascismo-antifascismo (violantismo docet) il cui esito è stato di sdoganare il fascismo persino nelle etichette del vino.
La destra non può essere avulsa dal suo nocciolo duro, storicamente marmorizzato: fascismo e anti-socialismo, vocazione gerarchica e padronale, aspetti che si ritrovano nella destra estrema ma anche in quella pseudo-liberale; fu attivando questi fantasmi che Forza Italia celebrò al tempo i suoi fasti elettorali. Le identità non sono manipolabili in laboratorio. Men che meno dall’esterno, per induzione di un preteso razionalismo politologico. L’unico modo di disarticolarla è intaccarne le basi sociali con una politica adeguata, rinsaldando le proprie motivazioni sociali e ideologiche. Ognuno per sé.
Decide la lotta (sperabilmente democratica).

Fausto Anderlini

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