Costruire la primavera dei movimenti

Politica

Il PIL non può nascondere le rotture socialiDal Forum delle Convergenze all’8 marzo, dal Fridays for Future all’Insorgiamo con la Gkn [Franco Turigliatto]

Nonostante i tentativi dei media di mascherare le plurime crisi in cui si dibatte il paese, gli eventi quotidiani mostrano la drammaticità della crisi sociale che schiaccia la stragrande maggioranza delle cittadine e di cittadini italiani/e, a cui si aggiunge quella ancora più grave, accuratamente taciuta, dei milioni di migranti che vivono in Italia.

I tentativi di mistificazione sono particolarmente evidenti sulla questione della sanità dove i giornali insistono ogni giorno sul fatto che l’epidemia si sta riducendo e che ci si avvierebbe al superamento dell’emergenza, quando i dati del contagio, dei ricoveri ospedalieri, della tragica cadenza delle vittime (molto vicino alle 500 al giorno),  e degli ospedali sotto stress, indichino esattamente il contrario. E così anche sulla scuola dove il caos generale è impressionante.

Il PIL non può nascondere le rotture sociali

Per quanto riguarda la situazione economica, i brillanti risultati del PIL del 2021 non possono nascondere le contraddizioni del sistema capitalista internazionale con l’esplodere dei prezzi dei prodotti energetici e di molte materie prime. Una fortissima impennata dell’inflazione (5%), quale non si vedeva da decenni che ha prodotto un rincaro di tutti i prodotti di prima necessità, una stangata durissima che colpisce salari, stipendi e pensioni, già inadeguati a garantire condizioni di vita decenti, ma che oggi subiscono un tracollo, moltiplicando le povertà e la crisi sociale.

Se qualcuno si era dimenticato della necessità della scala mobile dei salari e delle pensioni, oggi questo obiettivo torna ad assumere un ruolo centrale per la difesa delle condizioni di vita delle classi popolari.

La precarietà e la sempre più marcata flessibilità del lavoro e dello sfruttamento sono l’altro segno distintivo della situazione economica e produttiva volta a garantire la profittabilità delle imprese dentro un processo di ristrutturazioni, chiusure di impianti, delocalizzazioni, così come è negli interessi dei capitalisti e nell’azione del governo Draghi/Mattarella.

Oltre alle centinaia di vertenze aziendali in difesa del posto di lavoro, emerge la crisi del più grande agglomerato industriale del paese, quello rappresentato dall’auto, cioè Stellantis e dal suo indotto (nel complesso quasi 250.000 lavoratrici/tori interessate/i).

La crisi è così grave che ha spinto le tre grandi organizzazioni sindacali interessate (FIOM, FIM, UILM), disperate e senza ormai bussola alcuna, a firmare un appello (sic) insieme a Federmeccanica, l’organizzazione dei padroni perché il governo intervenga a impedire un processo di deindustrializzazione, quasi che sia possibile trovare una soluzione che salvi gli interessi della grande multinazionale e contemporaneamente preservi l’occupazione e le condizioni di lavoro dei dipendenti. [1]

Domina l’ipocrisia

Il quadro politico è quello determinato dalla rielezione (una forzatura anche se non una violazione formale del quadro costituzionale) di Sergio Mattarella. E’ stata la scelta di un Parlamento, ma anche e soprattutto della classe dominante, per evitare una crisi più grave, compresa quella di governo, garantendo la continuità della gestione delle politiche economiche del PNRR, cioè del rilancio delle politiche liberiste. I due personaggi, Draghi e Mattarella rappresentano bene gli obiettivi e le modalità gestionali, politiche ed istituzionali della borghesia italiana; tuttavia, superato lo scoglio della elezione presidenziale, la strada del governo resta quanto mai difficile, piena di contraddizioni, tra cui gli interessi specifici dei partici che lo sostengono in vista della prossima scadenza elettorale. 

Il segno distintivo di questo periodo è l’ipocrisia manifestatasi all’ennesima potenza nel discorso di investitura di Mattarella, nelle reazioni entusiaste del Parlamento e nei commenti dei grandi giornali. Ipocrisia di Mattarella quando parla di dignità negate da conquistare, di diseguaglianze da superare, delle vittime sul lavoro, dell’inaccettabile morte di un giovane in tirocinio quando lui stesso ha pesanti responsabilità, tra cui quella di aver firmato i decreti di Minniti e Salvini. Ipocrisia delle forze politiche plaudenti responsabili di aver introdotto le leggi sulla precarietà, massacrato le classi subalterne con decenni di politiche di austerità, creando le diseguaglianze più profonde, impoverendo le classi lavoratrici, facendo enormi regali ai ricchi, inventandosi la “buona scuola, il segno profondo dell’asservimento dei giovani alle logiche delle sfruttamento.

E per non smentire la loro ipocrisia si sono ripetuti pochi giorni dopo di fronte alle dichiarazioni del Papa che denunciava i lager in Libia e il più grande cimitero d’Europa, il Mediterraneo, quasi che non avessero responsabilità primarie in queste tragedie. Ma anche il Papa non è uscito dal suo ruolo, quello della chiesa cattolica in cui si denuncia il “peccato” e i guasti prodotti dal “peccato”, ma non i nomi dei peccatori seriali, che continueranno ad agire indisturbati come prima.

Indisturbati anche perché il movimento operaio, la potenziale alternativa a questo sistema capitalista, è gravemente silente; una mancanza di protagonismo che deriva soprattutto dal fatto che le organizzazioni sindacali deputate ad organizzare le classe lavoratrice nella lotta contro i padroni, sono del tutto passive ed anzi sottomesse alla logica dei capitalisti.. Lo sciopero generale del 18  dicembre è già scordato e le promesse fatte dal palco da Landini e Bombardieri di dare continuità alla lotta, lasciate cadere. Non c’è nessuna traccia di riorganizzazione della lotta generale delle lavoratrici e dei lavoratori da parte delle Confederazioni sindacali. Nella CGIL, al di fuori della battaglia di alternativa dell’opposizione di sinistra, c’è solo la lotta di potere tra i diversi settori dell’apparato.

Costruire la primavera dei movimenti

Tuttavia qualcosa di nuovo e di positivo è presente nelle vicende sociali ed altre potranno prodursi per le contraddizioni  del sistema capitalista. Dopo molti anni di silenzio nelle scuole ha cominciato a prodursi un nuovo fermento e un nuovo movimento; è avvenuto a partire da un fatto tragico, dalla reazione all’insopportabile morte del giovane studente schiacciato dalla trave di ferro, dal rigetto di quella vergogna che è la cosiddetta “ alternanza scuola lavoro”. Presi a botte dalla polizia durante le prime manifestazioni di protesta, le studentesse e gli studenti non si sono demoralizzate/i, ma anzi hanno preso più forza e determinazione e il movimento si è allargato su scala nazionale per chiedere l’abrogazione di questo istituto infame della “Buona Scuola” introdotta dal governo Renzi; si sono organizzate forme di autogestione in diverse scuole che hanno ulteriormente allargato gli obbiettivi di lotta. Davvero un bell’inizio anticipato di primavera.

Nello stesso tempo i movimenti di resistenza che si erano espressi nell’autunno, sia le lotte  operaie in difesa dell’occupazione, sia la mobilitazione dei giovani per l’ambiente, quella delle donne contro la violenza, quella della GKN, in prima fila per costruire una stagione di insorgenza sociale e di convergenza tra tutti coloro che si ribellano, non sono appassiti.

Tutti questi soggetti stanno lavorando per realizzare l’allargamento della mobilitazione proponendosi una serie di appuntamenti di incontri e di lotta. Lo sviluppo del movimento studentesco potrebbe essere un elemento di ulteriore rilancio del dinamismo sociale tanto più se  riuscirà a convergere con quanto si muove nei luoghi di lavoro e nelle altre realtà sociali attive.

E nelle prossime settimane gli studenti si sono già dati numerosi appuntamenti di lotta.

Un momento importantissimo sarà poi (la nostra organizzazione è fortemente partecipe) il Forum della Convergenza dei movimenti che si terrà  dal 25 al 27 febbraio a Roma con 5 grandi momenti di dibattito: Crisi Ecoclimatica, Lavoro e Nuova Economia, Diritti Sociali Universali, Democrazia del Comune, Crisi internazionale, e la conclusione dell’assemblea finale: “Costruire l’opposizione sociale, avviare una primavera di mobilitazione”

Un altro appuntamento fondamentale è l’8 marzo, la giornata di lotta delle donne, che anche questo anno cerca di unire le mobilitazioni tradizionali con una dinamica di sciopero produttivo e riproduttivo.

Il 25 marzo è il giorno del “friday for future”, lo sciopero globale sul clima con al centro lo slogan  “People not profit”.  

Infine il 26 marzo si proverà a convergere tutte e tutti quante/i nella manifestazione nazionale a Firenze, fortemente sponsorizzata e proposta del Collettivo della GKN, tutte e tutti insieme, con i contenutiti alternativi di lotta contro le ingiustizie di questo sistema e contro un governo che rappresenta appieno gli interessi padronali. Per i diritti, la giustizia sociale, la difesa dell’ambiente, per ridare forza e credibilità a una prospettiva anticapitalista, cioè per un programma ecosocialista.

Segnatevi la data e organizziamo da subito i bus per essere in tante/i a Firenze il 26 marzo; quel giorno non deve essere la conclusione di un percorso, ma il trampolino di lancio per la costruzione di un più grande movimento di massa e di opposizione al governo dei padroni, un movimento alternativo alla classe dominante, ai suoi partiti, al suo sistema economico e sociale.


[1] Nel comunicato congiunto dei segretari delle tre Federazioni sindacali e dei Presidente e Vicepresidente di Federmeccanica si rileva infatti:

Anche oggi, pur a fronte di una caduta della produzione nazionale di autoveicoli – che è passata dagli oltre 1,8 milioni di veicoli del 1997 ai 700.000 nel 2021, di cui meno di 500.000 autovetture – il settore Automotive ha, nel suo insieme, un peso rilevante nell’economia italiana. L’industria Automotive – definita sin dal 1946 “l’industria delle industrie” – vale in Italia un fatturato di 93 miliardi di euro, pari al 5,6% del Pil e nel solo comparto della fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi operano oltre 2mila imprese e 180mila lavoratori e si realizza il 7% delle esportazioni metalmeccaniche nazionali per un valore di 31 miliardi di euro”.

E successivamente “Questa misura (lo stop alla vendita di auto che producono emissioni di carbonio nel 2035 NdR), se non accompagnata da interventi, potrebbe portare in Italia ad una perdita di circa 73.000 posti di lavoro, di cui 63.000 nel periodo 2025-2030 (stime Anfia-Clepa-PWC).” Per concludere: ”Il rischio di deindustrializzazione di un settore chiave dell’economia italiana è concreto”.