Sinistra in Europa, una breve panoramica

Politica

Oscar Monaco – Oggi inizia il congresso nazionale del Partito Socialista Portoghese, guidato dal primo ministro Antonio Costa, sostenuto da una coalizione che comprende comunisti e ambientalisti; Costa si è distinto recentemente per il ruolo giocato nelle trattative tra paesi cosiddetti frugali e quello che potremmo definire il blocco latino il cui nucleo era composto inizialmente appunto dal Portogallo, dalla Spagna di Sanchez e dall’Italia rappresentata da Giuseppe Conte. Sempre Costa è stato tra i primi a mettere in discussione, nel PSE, le politiche di austerità imposte dagli ordoliberisti tedeschi capeggiati allora dal fondamentalista Wolfgang Schäuble, sadico torturatore di Alexis Tsipras e del popolo greco.

Il rivale di Costa, Daniel Adrião, capo della minoranza interna al partito, è un giovanotto che sui giornali e sui social parla continuamente di democrazia e trasparenza, non a caso la sua mozione di chiama Democracia Plena, ma che alla voce economia e finanza del suo documento tira fuori la solita solfa neoliberale: abbassare le tasse alle imprese, qualche stoccatina alla progressività fiscale considerata eccessiva e la richiesta di meno Stato, più mercato. Insomma, un Calenda (ci somiglia anche fisicamente) che non è uscito dal partito.

Recentemente ho cominciato a scrivere un articolo sui congressi socialisti in Europa, dal momento che da oggi metà ottobre andranno a congresso, oltre ai portoghesi, anche i francesi del Parti Socialiste e gli Spagnoli del PSOE; poi mi sono reso conto che più approfondivo i documenti congressuali dei rispettivi partiti, più necessitavo di ulteriori approfondimenti su contesti nazionali che oggettivamente non conoscevo. Quindi ho deciso di limitarmi a qualche riflessione a superficiale sul tema.

Proverò ad enucleare alcuni punti comuni, almeno ai partiti afferenti al PSE dell’Europa continentale, comprese Italia e Germania: il primo è che è in atto uno spostamento a sinistra dell’asse della socialdemocrazia europea, il secondo è che questo avviene essenzialmente su un sistema di alleanze con forze politiche considerate genericamente “antisistema”, il terzo è che la dominate che ha egemonizzato tutti questi partiti, quella sostanzialmente neoliberale che si impose in Europa sulle ali del New Labour blairiano, è ridotta ad una minoranza agguerrita quando non platealmente aggressiva.

Andiamo con ordine: nel novembre 2019 si celebra il congresso della SPD (la più antica organizzazione esistente della classe operaia, ispirata alla sua fondazione ad un Karl Marx ancora in vita ed in piena attività, anno 1863) che rompe se non con la Grosse Koalitione, che vede i socialdemocratici al governo con Angela Merkel, almeno con una sua prospettiva futura (in Germania a settembre si terranno le elezioni federali). In sostanza Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken i due segretari del partito, un uomo e una donna, affidano al congresso due relazioni conclusive che fra le tante cose parlano esplicitamente di aumento del salari, rafforzamento del ruolo dei sindacati, aumento dell’intervento pubblico e della pianificazione in economia, chiusura definitiva delle politiche economiche di austerità in Europa, con riferimento esplicito ai paesi del sud e, elemento nient’affatto indifferente se riportato alla drammatica attualità afghana, la costruzione di un’UE promotrice di pace che rompa con la logica perversa delle guerre che alimentano e si alimentano col terrorismo. Proprio in questi giorni il candidato alla cancelleria, vicepremier e Ministro delle finanze, Olaf Scholz, ha proposto l’adozione di una tassa patrimoniale.


In queste settimane in PS francese discute se confermare le alleanze con comunisti e ambientalisti che hanno risollevato la sinistra d’oltralpe, dopo anni di sconfitte, nelle elezioni regionali di giugno: anche qui il segretario uscente Olivier Faure, che rivendica i risultati elettorali e rilancia con la prospettiva di una maggiore unità con le forze di sinistra e ambientaliste, è contrastato dalla contendente Hélène Geoffroy, che propone di rivolgere lo sguardo alle forze democratiche di centro (leggasi Emmanuel Macron) e accusa il gruppo dirigente di adottare una “postura antisistemica radicale” contro una prospettiva “responsabile di governo”. Va appena notato che le derive centriste avevano ridotto il partito fondato a Épinay da François Mitterrand a scomparire dai radar della politica nazionale, racimolando un misero 6,4% alle ultime presidenziali, il risultato più basso mai ottenuto. Tutto questo in attesa delle presidenziali che si terranno nel 2022 e che fino a pochi mesi fa sembravano una gara esclusiva tra liberali ed estrema destra nazionalista.

Dal 15 al 17 Ottobre si terrà a Valencia il 40° congresso del Partido Socialista Obrero Español, il PSOE guidato dal premier Pedro Sànchez: il documento ricalca le proposte sul lavoro, economia e sociale degli altri grandi partiti europei, mettendo a premessa una netta critica sulle politiche del ventennio precedente e sui danni prodotti dall’affermarsi del concetto che l’eguaglianza fosse una questione di condizioni di partenza e non di mezzi materiali; la redistribuzione così impostata non è utile a porre rimedio agli squilibri sociali, occorre, è scritto a chiare lettere, fare i conti con una prospettiva di predistribuzione. Un punto di vista estremamente avanzato nell’ottica di un moderno socialismo democratico.
Non mancherebbe nemmeno in Spagna l’opposizione interna neoliberale, se non avesse sparato tutte le cartucce a sua disposizione nelle primarie andaluse, perse dalla leader, andalusa, Susana Diaz, sconfitta che ha frantumato il fronte interno lasciando l’intera partita congressuale a Sanchez. Tanto per non annoiarsi, le proposte di Diaz erano centrate sull’avversione all’alleanza di governo con Unidas Podemos, formazione composta dalla confluenza di Izuierda Unida, di cui fa parte il Partito Comunista Spagnolo, e da Podemos di Pablo Iglesias e la proposta di un’alleanza con la formazione centrista Ciudadanos, che però è praticamente scomparsa al’ultima tornata amministrativa, mandando in frantumi i sogni neoliberali di Susana Diaz.

Fatte le dovute distinzioni i toni del dibattito nel centrosinistra italiano non sono così diversi da quelli europei: estremisti di centro, nostalgici del neoliberismo, tentano quotidianamente di sabotare l’alleanza che va costruendosi intorno a PD-M5S e LeU, con l’armamentario retorico logoro che appiccica l’accusa di populismo ormai a chiunque non sia organico all’establishment finanziario che ci ha portato al disastro a colpi di privatizzazioni e tagli, compresa l’incolpevole sardina Mattia Santori, oggetto dell’interesse morboso dei Calendiani (quindi solo Calenda), e dei renziani di IV e PD, come l’ineffabile Marcucci.
Il nostro paese, senza un cambio di rotta, finora troppo timidamente appena accennato, in linea con gli altri grandi partiti della sinistra continentale, rischia di diventare un enorme museo a cielo aperto di una politica economica fallimentare che ha prodotto a conti fatti milioni di poveri e marginalizzati; una rievocazione storica della barbarie neoliberista, mentre nel resto del mondo, USA compresi, si pongono al centro del dibattito politico politiche progressiste e anticicliche.